LA FRANCIA STA AL MANIPUR , COME LA CENSURA STA ALL’INFORMAZIONE!

COSA HA IN COMUNE IL LEADER FRANCESE MACRON COL MANIPUR, E A COSA SERVE LA CENSURA TOTALE DELLA RETE INTERNET APPLICATA DAI GOVERNI.

LA FRANCIA STA AL MANIPUR, COME LA CENSURA STA ALL’INFORMAZIONE – COSA HA IN COMUNE IL LEADER FRANCESE EMMANUEL MACRON COL MANIPUR, E A COSA SERVE LA CENSURA TOTALE DELLA RETE INTERNET APPLICATA DAI GOVERNI.

– di Paola Mora

Oggi, 6 luglio 2023, il presidente Emmanuel Macron annuncia di essere riuscito a riportare l’ordine, in una Francia messa a soqquadro prima dalle proteste contro la riforma delle pensioni nelle città principali, e poi dalla rivolta armata nelle degradate periferie pullulanti di immigrati innescata dall’uccisione del diciassettenne Nahel, algerino, freddato dal colpo d’ arma da fuoco di un poliziotto in servizio (che ha premuto il grilletto per futili motivazioni, e non è stato l’unico caso!). Macron ha colpevolizzato non i divari sociali provocati dalla povertà sempre più galoppante, non le immigrazioni di massa, non le forme repressive della gendarmeria sfiancata dai fuochi sociali che si accendono da mesi in tutta la nazione a causa di una politica fallimentare, ma i social network!  Indi, ha dichiarato convintamente la possibilità per il suo governo di “sospendere” i servizi di piattaforme internet più utilizzate dai cittadini, all’occorrenza. “Quando le cose sfuggono di mano bisogna mettersi nella posizione di regolamentare i social o bloccarli”, ha precisato, puntando il dito su tre applicazioni: Snapchat, Telegram, e soprattutto la cinese Tik Tok. La ragione è semplicissima: sono le uniche tre piattaforme che non possono essere minacciate, condizionate, controllate in Europa dai politici, al punto che riescono ad immortalare attraverso il cittadino che ne fa uso, momenti anche gravissimi di violazioni governative delle costituzioni e dei diritti umani. Ancora, viene comunicato dal governo francese che le operazioni di censura a tappeto di tutti i contenuti considerati fastidiosi e segnalati, sono “misure d’emergenza che entreranno in vigore dal 25 agosto, pena sanzioni”.   La tesi macroniana sulla colpa ai social per le rivolte di adolescenti in strada non regge, semplicemente perché nel caso delle periferie francesi, per quanto i ragazzi possano comunicare agevolmente muovendosi sulle piattaforme, si tratta appunto di giovani abituati alla “vita on the road”, alle bande di quartiere o agganciate ad organizzazioni di cui sono gli adulti a muovere i fili, e di certo non hanno bisogno dei social per comunicarsi un piano strategico di rivolta. Gli basta accordarsi in strada, nei luoghi di ritrovo delle bande, o inviarsi un messaggio breve di testo per il quale non c’è necessità di accedere alle più quotate Tik Tok o Telegram. La censura delle informazioni e comunicazioni ha sempre storicamente protetto la politica nel momento in cui la cattiva gestione istituzionale, ha portato al degrado di città e realtà nazionali.

In tutti i casi conosciuti al mondo, le censure e repressioni giornalistiche, il controllo politico ossessivo sui mass-media, quello più attuale sulle reti internet, hanno sempre coinciso col tentativo istituzionale di coprire i propri fallimenti avvalendosi di abusi di potere e azioni drastiche per porvi rimediopur sapendo di violare i diritti umani. Questo, è uno scavalcamento di linee rosse illegittimo da parte di un governo che vi ricorre, e non ha a che fare con l’omissione a fin di bene di informazioni che potrebbero ledere la comunità, per cui a volte un buon politico potrebbe decidere di non rivelarle nell’immediato al fine di risolverle in sicurezza per altre vie.  Quello della censura coatta, è ad esempio il caso dell’Iran dove molti fatti che si riferiscono alla violenza sulle donne, sono passati nel silenzio social quasi totale fino alla vicenda della giovane Masha Amini; ma ancora più eclatante è il caso dell’India. In Iran, ci sono stati per fortuna attivisti e giornalisti “indipendenti” sul campo, che negli anni sono riusciti a raccontarci le dinamiche anche quando il social di ultima generazione non arrivava al pubblico limpidamente. Così, mentre Emmanuel Macron plaude ad un approccio iniziale alla censura che farà scendere l’oblio sui fatti di Francia, in un’altra parte del mondo è già ben visibile cosa può provocare l’oscuramento delle informazioni attraverso il lockdown delle linee internet! Connessioni, su cui oggi gran parte del giornalismo e dell’informazione moderna, si appoggiano. Badate bene che avere a disposizione una unica informazione controllata pienamente dal governo, non equivale a sapere la realtà della successione dei fatti, che spesso, sono molto diversi se visti da una prospettiva più indipendente, critica e popolare. Ecco perché disporre di una sola fonte controllata e collettiva, equivale comunque a censura.

Il mondo odierno, supertecnologico, ci connette gli uni con gli altri nel giro di pochi secondi e le informazioni viaggiano al punto, che non riusciamo a farne a meno. Sbagliando, valutiamo i fatti attorno a noi solo se sono visibili ai nostri occhi attraverso i nuovi mezzi di comunicazione. Ecco perché anche comunità e gruppi etnici estremamente poveri stanziati in villaggi africani, indiani, ed anche tribù, hanno ceduto alla tentazione di stare al passo coi tempi laddove la società, in larga parte ha quasi imposto la moda del cellulare. Se da un lato la connessione internet è il parto di un progetto militare per favorire certi poteri, i cittadini hanno saputo trovare in esso un valido alleato in più di una occasione, dal momento che, avendolo in mano, si possono documentare le ingiustizie, scambiarsi opinioni, cogliere sul fatto le azioni a volte illecite perpetrate dalle stesse attività politiche tenendole a bada quando diventano troppo dittatoriali. Un’arma a doppio taglio, che ha costretto i poteri istituzionali alle applicazioni delle censure e all’invenzione delle fake-news, pur di mettere a tacere chi percepisce o documenta le sbavature di politiche sempre più corrotte. Ecco che la visibilità equivale quasi all’esistere, e se non appari sul social network o la televisione non parla di te, semplicemente non esisti per nessuno.

Il Manipur non esiste! Eppure, le rivolte interne che vi si consumano sono una realtà, più cruente di quelle francesi, ma, non vedendole, nessuno sembra saperne nulla (anche se alcuni mass-media – nelle retrovie e per onor delle cronache – con fare sommesso e pudico ne accennano nei trafiletti dei quotidiani sempre meno letti dalla popolazione).

Nello stato indiano del Manipur è in corso da inizio maggio 2023 uno scontro etnico fra la maggioranza Meitei e la tribù dei cosiddetti Kuki, che è già costato centinaia di morti, feriti, e quasi 60mila sfollati. La scintilla si è generata quando i Kuki hanno aperto le danze ad una protesta, stanchi delle vessazioni ripetitive e privative inflitte dalle autorità locali. In effetti, la comunità Meitei aveva fatto richiesta per ottenere speciali protezioni costituzionali e delle proprietà, seggi riservati al parlamento, raccomandazioni in quanto tribù protetta, atte ad incrementare il proprio potere. La pretesa di una maggioranza già forte sul territorio, ha incoraggiato le proteste pacifiche delle minoranze Kuki.  Allora, alcuni membri della tribù Meitei sostenuti dal gruppo nazionalista paramilitare “Rashtriya Swayamsevak Sangh”, hanno risposto appiccando incendi nei territori occupati dai Kuki, costringendoli alla fuga. Nel distretto di Churachandpur, un gruppo di rivoltosi non identificato ha arso un monumento dedicato ai caduti per la patria, e la macchia delle persecuzioni alla minoranza si è allargata in poche ore. I Kuki, da fonti che ne parlano, non si aspettavano una risposta armata nei loro confronti e probabilmente già pianificata da tempo.  Una caratteristica non di poco conto delle tensioni in Manipur è che esse stanno avvenendo anche sul fronte religioso, o forse, si vuole premere sulla matrice religiosa del problema per mascherare altri retroscena e nel frattempo lasciar morire le religioni stesse. Ultimamente, il globalismo dominante in varie aree del pianeta tende ad amplificare le presunte storture del credo religioso, per abolire il concetto di fede insito nell’uomo. Tolta la fede in tutto, l’uomo diventa il perfetto automa che perde il contatto con la propria coscienza e si disabitua alla distinzione tra bene e male.

In India, la maggioranza della popolazione è Indù, la minoranza è musulmana, mentre, in Manipur i Meitei sono prevalentemente induisti, ed i Kuki di fede cristiana. Da quando le rivolte hanno preso piede per via dei diritti politici delle minoranze, ci sono stati gruppi di rivoltosi che hanno distrutto o danneggiato 200 chiese e 17 templi legati a quelle stesse realtà cristiane.  Ma la cosa sconcertante è che gli Indù Meitei, hanno incendiato anche chiese che appartengono esclusivamente a gruppi di cristiani Meitei (e non Kuki), a riprova che la matrice di violenza è volta anche a screditare e a mietere via come grano troppo maturo, la fede cristiana. Un tempo, il Manipur era parte dell’impero britannico indiano che nel 1947 venne diviso dai britannici nei due stati indipendenti di India e Pakistan (in base alla religione della maggioranza della popolazione). Uno dei due territori pakistani ottenne l’indipendenza, ed è l’attuale Bangladesh. Il Manipur, invece, era fra gli 8 stati ad est del Bangladesh che in un primo momento mirava all’ indipendenza anch’esso, e successivamente fu costretto a firmare l’adesione all’India. Non si trattò di una procedura completamente volontaria, ma di una scelta obbligata accorsa nel momento storico. I Meitei, induisti, sono collocati abitativamente nella valle che corrisponde alla capitale Imphal, e sono coloro che hanno manovrato negli anni tutte le attività politiche ed il parlamento. In effetti, il primo ministro locale attuale, tale Biren Singh, è legato a Narendra ModiI Kuki sono prevalentemente cristiani, più poveri, e non assurgono a cariche politiche che abbiano molta rilevanza decisionale. È singolare il fatto che furono i colonizzatori britannici a scindere drasticamente tra loro i due gruppi religiosi.

All’inizio dei disordini di questo maggio di cui il mondo ignora quasi totalmente l’esistenza, internet in Manipur è stato bloccato, ma parimenti è tardato l’intervento immediato delle forze dell’ordine. Il governo centrale si è limitato a rilasciare alcune dichiarazioni rispetto all’introduzione di forze di sicurezza nella regione, ma nel frattempo i militanti indù hanno avuto modo di far salire la rivolta, uccidere, dare alle fiamme le persone simpatizzanti coi cristiani e le loro chiese. I luoghi di aggregazione cristiani sono stati distrutti anche con mortai e lanciagranate, armi di tipo leggero in mano alle forze paramilitari. Il risultato è stato una fuga di massa delle minoranze. Successivamente, il governo locale e quello centrale indiano hanno impiegato 40mila fra soldati, poliziotti e paramilitari per bloccare le violenze. Il percorso di scelta repressiva è molto simile a quello del presidente francese Emmanuel Macron, anche lui intervenuto in ritardo, preferendo assistere al concerto di Elton John in tour anziché occuparsi delle bande che infuriavano a Nanterre e che si sono poi organizzate in saccheggi, incendi e terrore anche in altre zone della Francia. Oggi, Macron, si  affretta a legiferare normative volte a censurare più contenuti possibili nel caso di disordini futuri, non forse per sicurezza come gli piace ripetere, ma per timore di perdere il posto alla presidenza o per evitare di creare malumori, dal momento che le repressioni si svolgono non attraverso la diplomazia e azioni di intelligenza intuitiva, ma con la violenza somministrata dalla gendarmeria francese che colpisce spesso,  nella foga punitiva, anche gli innocenti e non soltanto il criminale di turno.

Per quanto riguarda gli scontri in Manipur, il leader indiano Narendra Modi è rimasto in questi mesi in perfetto silenzio, esattamente come se il problema non ci fosse, ed ha sempre rifiutato di parlarne pubblicamente. Riesce a permetterselo, proprio perché il giornalismo non ha strumenti per penetrare la barriera alzata tra il luogo ove si consumano gli scontri e la rete di informazioni ad ogni livello. La censura capillare che comprende anche il divieto ai giornalisti indipendenti di entrare a documentare, impedisce la diffusione della verità dei fatti all’esterno del territorio in questione.  Qualcosa sfugge e trapela, ed è il solo motivo per cui c’è chi lancia gli allarmi o fa in modo che la voce delle associazioni umanitarie che provano ad occuparsene giungano al mondo. Nei primi giorni di disordini, le parti in lotta in Manipur hanno assaltato le stazioni di polizia e i depositi di armi, esattamente come è accaduto in Francia. È stato istituito il coprifuoco notturno, le scuole sono state chiuse, e la rete internet è stata interrotta per volontà del governo indiano, ufficialmente per evitare diffusione di fake-news. Ad oggi, si parla della chiusura del confine internazionale col Myanmar – in parte esiste già una barriera, ma non copre il perimetro totale di un confine prevalentemente aperto – per tamponare i reflussi migratori. È dell’idea di alzare barriere, lo stesso ministro dell’interno indiano Amit Shah, che lo ha annunciato in una conferenza stampa tenutasi il 1° giugno 2023 ad Imphal, dopo una visita ad ambedue i territori con la finalità di spronare ad una soluzione pacifica. “Per una soluzione permanente abbiamo già installato recinzioni su altri 80 km e avviato un sondaggio per chiudere il rimanente spazio al confine col Myanmar”, ha affermato, specificando che le tecnologie aiuteranno a registrare dati biometrici e scansioni retiniche di chi proviene dai paesi vicini per una maggiore sicurezza. I Meitei ritengono che la crisi sia innescata dalla presenza di gruppi di “immigrati ribelli Kuki-Chin” coinvolti col narcoterrorismo e cartelli della droga con sede nel Myanmar. La storia delle tribù è controversa, e affonda le radici in precedenti repressioni politiche, colpi di stato e ondate migratorie che hanno determinato la situazione territoriale di distribuzione odierna.

Anche la visita del leader indiano Narendra Modi a Washington avvenuta pochi giorni fa, potrebbe avere a che a fare col tentativo di mettere a tacere per sempre quei disordini interni che solo in parte dopo due mesi si sono placati, ma potrebbero riaccendersi alla prima occasione. Gli Stati Uniti si sono offerti per arginare la situazione. È un favore a Modì in cambio certamente di qualche passo benevolo di quest’ultimo, all’interno della situazione che riguarda il conflitto russo-ucraino, in cui l’India si mantiene equa e neutrale. Inoltre, a causa della posizione geografica e percorso storico, il Myanmar si interseca nel contesto di antagonismo tra Cina ed India che ancora si contendono territori situati nel nord est. Pechino desidera allungar meglio le mani nell’Oceano indiano. È qui, che l’amministrazione Biden preme per rafforzare le intese geopolitiche contro la Cina, laddove l’India prova a giocare su due fronti pregna della sua filosofia sulla cosa più giusta da fare, e apparentemente non pende, ma difende i suoi interessi su più lati, tra cui quello che riguarda i BRICS e la multipolarità. La Cina e l’India, per il momento, sono in fase di stallo sulle loro problematiche pregresse al confine, non dipanate nè risolte, nonostante le cooperazioni su altri scenari economici e strategici, che condividono in accordo con altri Paesi.

Tornando alle applicazioni della censura, rese capillari da una tecnologia oggi in mano al governo che ha messo il cappio al collo dei gestori delle piattaforme, fino anche a quelle applicazioni social che erano nate come intrattenimento e strumento dei cittadini, questo abusivismo nella cancellazione delle vite ed esperienze altrui per incentivare una propria unica visione dei fatti, non può che generare problemi sociali, malessere, violazione dei diritti umani come quello di opinione, espressione. È il mostro che è necessario combattere, ma si sa, che nessuno è disposto a vivere per sempre nella menzogna. Si soffre troppo. Ed è per questo, che un modo per parlare liberamente di ciò che accade intorno a noi, lo troveremo sempre; mentre il rimedio della censura è destinato a cadere assieme ai suoi governanti.

Non sapremo mai con esattezza quel che accade davvero nel Manipur, finchè la gente del posto non riuscirà a parlarcene. Dovremo tenerci le narrazioni approssimative, per quanto in parte aderenti alla realtà, senza comprendere quali potrebbero essere le soluzioni, come si può dare una mano, e se ci sono dettagli importanti che vengono nascosti per proteggere le leadership e gli interessi di qualcuno.

E’ solo immaginabile, ma la verità, è che nei luoghi repressi all’eccesso in cui si verificano tragedie, si muore. E si muore per indifferenza, per impossibilità di urlare che hai bisogno di aiuto e di gridare quale è l’aiuto di cui bisogno. Si muore per indifferenza e perché nessuno saprà mai di te!                 

06 LUGLIO 2023 – PAOLA MORA – QUI RADIO LONDRA TV

 

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