LA TRAVIATA A CARACALLA. LETTERA AD ALPHONSINE

LA TRAVIATA A CARACALLA. LETTERA AD ALPHONSINE

– di Rosalba Panzieri – La Discussione

Prima che l’opera iniziasse sedevo in platea con poche granitiche certezze: che stessi per assistere all’opera più famosa e rapprentata al mondo che da 170 continua a sedurre ogni pubblico; che la regia aveva scelto un’ambientazione e una periodizzazione afferente alla “Dolce vita” felliniana; che Violetta giace sul fondo cromosomico della natura femminile, non come residuo, ma come seme sempre capace di germogliare nei più vari sacrifici sentimentali. È importante dunque assumere due diverse prospettive per raccontare La Traviata, per coglierne il pathos eterno e per rilevare cosa questo allestimento dell’opera svela, ancora, allo spettatore. Per una volta, desidero fare un’eccezione, rivolgendomi non a voi lettori, a cui domando invece complicità nel volgere lo sguardo alla cara figura da cui Violetta nacque e che è, tutt’oggi, troppo poco celebrata, che anzi non ebbe nessuna gloria né onore da una così grande opera: Alphonsine Plessis, la donna che ispirò il romanzo “la signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio, la vera “traviata” con cui Alexandre ebbe una storia d’amore. Alphonsine, nata a gennaio, morta a febbraio, vissuta nello spazio di 23 anni (dal 1824 al 1847) durante i quali è riuscita a ricuciree se stessa dagli strappi di povertà e violenza in cui era vissuta bambina e poi adolescente, per poi trasferirsi a Parigi, città in cui la sua bellezza e la sua capacità di apprendimento veloce delle arti, insieme ad una innata elegante sensibilità, ne fanno una figura ambitissima dagli uomini. Una loretta, una dama per la cui compagnia gli uomini sono pronti a pagare molto, non una parcella, ma una serie di beni e servizi: queste erano le lorette della Parigi post-romantica degli anni 40 dell’800, definite oggi, semplificando, prostitute d’alto bordo. Alphonsine sarà tra le più ricercate, amata da tutti, invidiata da tutte, morta giovanissima a causa della tisi, resa eterna da tre uomini: Dumas, Giuseppe Verdi, Francesco Maria Piave. A lei rendiamo grazie per essere stata scintilla imprescindibile di un’opera così grande, “La Traviata”. A lei racconto idealmente quale debito di riconoscenza le portiamo: Alphonsine, concedimi il tu che si riserva a figure vicine e care, quale la tua storia ti ha resa ai miei occhi e a così tanti altri che non immagini neppure. Non sai, infatti, che l’uomo amato, quell’Alexandre Dumas con cui fuggisti in campagna, reciprocamente illusi che l’amore potesse resistere a tutte le sollecitazioni sociali, scrisse non a te per implorare il tuo perdono, ma di te. Non lo fece subito dopo il vostro addio, non lo fece quando tu trovassi consolazione tra le braccia di un pianista dalle lunghe dita di nome Franz Liszt e neppure quando sposasti quel conte che ti restò accanto nelle sferzate crudeli della malattia che ti condussero a prematura morte. Lo fece dopo: tu diventasti un romanzo, il tuo nome fu “Violetta”, il suo rifiuto nei tuoi riguardi venne ingentilito dalla responsabilità consegnata a te, a causa di un padre che ti considerava onta per l’immagine familiare. Non sai che tanto quanto corsero uomini di ogni sorta per accaparrarsi un tuo oggetto, dopo la tua morte, tanto il tuo romanzo fu oggetto di censura, aggirata grazie a scambi di favori che videro la tua storia edita e poi portata in scena, appena qualche giro di calendario dopo la tua scomparsa terrena. Non sai Alphonsine che ancora due uomini, Giuseppe Verdi, un genio della musica che avresti amato, e Francesco Maria Piave, un tessitore di parole dal tratto sublime, tesserono un’opera in cui tu, trasfigurata in Violetta, sei celebrata e ritratta e ammirata e compianta da tutte le donne e tutti gli uomini che in questi 170 anni trascorsi, hanno rivolto alla tua storia lacrime e applausi. Finalmente tutti sono dalla tua parte, e se pure ne avresti ben più beneficiato in vita, ti sia consolazione, la consolazione che rappresenti per ogni donna che ha sofferto e conosciuto il sacrificio per amore. Dal mio tempo, una torrida estate romana del 2023, ho assistito a una Traviata, messa in scena in un complesso archeologico monumentale, che evoca l’eternità in cui sei infine immersa. Ancora un uomo, Paolo Arrivabeni, direttore d’orchestra che ha condotto con sapienza e attenzione i suoi musicisti nell’esecuzione di spartiti scritti sul tuo respiro che volava via, che parla di te come di un personaggio unico, capace di un’evoluzione dalla forza drammatica trascinante. Ricorre dire che per cantare la tua parte, nei tre atti in cui l’opera è divisa, occorrerebbero tre soprani, ma il maestro dissente e, concordo, afferma: servono non tre soprani, ma una voce che doni al primo atto una spensieratezza, che sappia trasformarsi in riflessione, nel secondo atto, che porti poi ad una drammaticità che coaguli nel brano “addio del passato”, che racconta il dolore che hai vissuto difronte alla malattia e che Francesca Dotto, il soprano che qui ti presta la voce, rende in modo ammirevole. Verdi qui accompagna il parlato della protagonista con un violino solista che accenna il canto d’amore di Alfredo del primo atto “Di quell’amor ch’è palpito”. Violetta sa che è troppo tardi ed esprime la sua disillusione nella romanza “Addio, del passato bei sogni ridenti.” Se è vero che Violetta è già tutta nella partitura, perché si esprime in aforismi musicali che sul finire si fanno arie, è vero che così è stata la tua storia e quella delle donne in genere, ad avere il coraggio di guardare…siamo frammenti che esistono in funzione di altri, percepiti in misura di quanto considerati dall’altrui attenzione, e sempre attente ad accordarci al coro. Fintanto che si cresce e strappandosi veli e petali d’innocenza, soffrendo si arriva a scorgere se stesse.

Forse è proprio la malattia a connotare una coscienza singolare in Violetta, forse è nella malattia che iniziano tutti a vedere te, forse infine è la malattia, il tutto perduto che concede anche la libertà di dire senza più timore. Violetta in colpa d’esistere al punto di reputare ammissibile sacrificarsi per un’altra, nella malattia rinuncia ad ogni accondiscendenza: se benedice è per autentico amore, se esprime rabbia (bravissima qui Francesca Dotto) sulla lettera di scuse tardiva del padre è perché si percepisce quale creatura in diritto. Se, come dice il regista Lorenzo Mariani, i ruderi di Caracalla schiacciano qualsiasi scenografia, è Violetta che regge il confronto con quella statura. E proprio del regista desidero raccontarti, perché lui ha pensato per Violetta, e per te, ad una ambientazione che avrebbe potuto attrarti molto, tanto quanto continua a sedurre tutte noi donne di uno scialbo decadente ventennio dopo il 2000. Lui ha pensato agli anni 50 di Roma, quando alcune donne potevano divenire dive del cinema, attrici ammirate da tutti. Ti saresti amata in quegli abiti, di un amore senza salvezza, perché tale è l’amore carnale e terreno con cui perlopiù usano amare gli uomini…le luci si sarebbero comunque spente sul tuo cuore una volta finito il pasto delle tue grazie. La casa di campagna come rifugio d’amore è diventata per il regista una terrazza sul mare e per me rappresenta meglio la solitudine e la caducità, soprattutto dei nostri tempi…gli ombrelloni sono più opportuni a ciò che passa, allo stagionale, la casa di campagna è pur sempre una casa ha una solidità intrinseca. Già la tua storia nell’arte destò scalpore perché il pubblico era poco avvezzo a storie contemporanee, così il regista ha cercato una contemporaneità ideale, soprattutto di processi, per raccontare la tua storia. Io, dal canto mio, credo che il tuo tempo sia eterno, come tutto ciò che accede a verità, per questo creerei un allineamento preciso tra il tempo dello spettatore e il tempo dell’opera. In tal senso ciò che è davvero contemporaneo è il paparazzo che viene a rapinare dal tuo viso l’ultima vita con la violenza sciacalla dei suoi flash…non sai Alphonsine quanto nel mio tempo questo orrore ha occupato uno spazio una volta riservato alla pietà e al soccorso. Sic transit gloria mundi. Per questo anche la tua figura ci è, ancorché vittima di ingiustizia, cara, perché ricorda che se l’amore non salva rivela al cuore, attraverso il sacrificio, una grandezza possibile oggi sconosciuta.

07 SETTEMBRE 2023 – ROSALBA PANZIERI – QUI RADIO LONDRA TV 

Fonte: La Discussione – https://ladiscussione.com/265915/cultura/la-traviata-a-caracalla-lettera-ad-alphonsine/

 

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