IL PESO ENERGETICO DELL’AZERBAIJAN IN EUROPA, E IL RAPPORTO A DOPPIO FILO CON L’ITALIA
di Paola Mora
Il Nagorno Karabakh è geograficamente collocato nell’area asiatica del Caucaso meridionale. Non affaccia sul mare ed è “interno” all’Azerbaijan. La capitale è Stepanakert. Di conseguenza, non fa parte territorialmente dell’Armenia ma ha voluto rivendicare la sua libertà culturale autoproclamandosi nel 1988, Repubblica indipendente dell’Artsak – col sostegno dell’Armenia – dal momento che gli abitanti di quella regione, per circostanze storiche, sono d’origine armena e non azera. Si è creato così un ‘territorio ibrido’ protagonista di tensioni e scontri, ma che tuttavia non gode dell’identificazione internazionale della sua indipendenza. Neanche l’Armenia, di cui il presidente odierno è tale Nikol Pashinyan, gliela ha riconosciuta! Pashinyan, ha però chiesto ‘garanzie di sicurezza’ per i cittadini armeni in Karabakh, rispetto all’eventuale minaccia di un aggravamento dello stato di crisi con l’Azerbaijan, e senza scomodarsi all’idea di imbracciare ancora le armi contro l’avversario azero. In effetti, l’Armenia non ha una grande disponibilità militare, mentre l’Azerbaijan è armato storicamente dalla possente Turchia, ed anche da Israele. Il perimetro caucasico è ricco di risorse, materie prime e snodi fondamentali storici e percorribili per più attori geopolitici. Infatti, il Nagorno è una valvola di sfogo gasiero e petrolifero nell’Azerbaijan – che lo rivendica come proprio e ne osteggia la pretesa di indipendenza – e si protende verso i confini di Iran, Turchia, Russia, Armenia, valorizzando le rotte che si spalancano sull’India. Alle spalle dell’Armenia c’è la Georgia, mentre, sempre nel perimetro di cui è protagonista il Karabakh, esso preannuncia le comunicazioni con gli affacci strategici sul Mar Caspio. Il Karabakh è stato attraversato da tre conflitti principali, di cui l’ultimo è l’attuale che è esploso nel settembre 2023.
Già nel 2020, dopo 44 giorni di combattimento, la Russia aveva mediato un “cessate il fuoco” tra Armenia e Azerbaijan che erano entrate in conflitto tra loro, e le forze di pace furono dispiegate su mandato dell’ONU. Venne stilato in quell’occasione un accordo con cui si stabiliva il trasferimento di sette territori controllati dall’Armenia e ‘adiacenti al Karabakh’, nelle mani dell’Azerbaijan; mentre, il Karabakh fu scisso in due sezioni controllate rispettivamente da Armenia e Azerbaijan. Si accettò, inoltre, il presupposto di un collegamento tra Azerbaijan e Nakhchivan (al confine con la Turchia), e di un secondo corridoio conosciuto come “corridoio di Lachin” che allaccia l’Armenia al Karabakh. Quel che rimase sospeso, invece, fu lo status del Nagorno Karabakh, per cui, sarebbero serviti negoziati che stabilissero la paternità di quella Repubblica autoproclamatasi indipendente e collocata in seno all’Azerbaijan. A questi accordi che riguardavano l’Armenia in quanto parte tutelante degli armeni in Karabakh, e più direttamente le relazioni tra Azerbaijan e Artsak, si stava lavorando negli ultimi tempi. Lo scenario è quindi il seguente: si tratta di un’area geografica ove Armenia e Azerbaijan controllano rispettivamente alcuni territori che gli sono stati assegnati dopo cruenti conflitti tra le due fazioni, con anche la contemporanea apertura di corridoi di cui uno è quello di Lachin. E poi c’è la Repubblica indipendente dell’Artsak – con maggioranza di popolazione armena e non azera – geograficamente interna all’Azerbaigian che la rivendica, e di cui nessuno riconosce a livello internazionale l’indipendenza, nemmeno l’Armenia. Su quest’area si permea l’acrilica difficoltà di stabilirne lo status, da superarsi attraverso ulteriori sessioni di dialogo. In mezzo a queste realtà storiche operano, inoltre, le forze di pace russe ed anche quelle turche. In riferimento agli ultimi eventi militari esplosi nel settembre 2023, si chiarisce che le forze di pace russe non avrebbero mai potuto rispondere militarmente in favore dell’Armenia, poiché si sarebbe trattato di dichiarare guerra all’Azerbaijan. Difatti, se nessuno riconosce l’indipendenza del Karabakh, tantomeno l’Armenia, è palese che un confronto militare aggressivo intentato dai russi per esso, avrebbe corrisposto ad un attacco e intromissione di Mosca nel territorio dell’Azerbaijan. È da considerare anche che le forze di pace russe schierate in Nagorno Karabakh, non indovinavano numericamente il target richiesto per una classica mobilitazione di guerra: si tratta, in effetti, di un nucleo operativo ed esiguo di militari, ivi inviati come supervisori e sorveglianti nelle situazioni di cessate il fuoco, assistenza ai civili e così via, concesso anche che: se il presidente armeno non si muove a guerra egli stesso nei confronti dell’Azerbaijan, non ha senso per i russi addossarsi la responsabilità dell’attraversamento di quella linea rossa. I russi, nel caso specifico, non potevano agire altrimenti da come hanno fatto, e, diversamente, avrebbero rischiato d’essere accusati di aver contribuito all’inizio di una nuova guerra in territorio azero. Tuttavia, da tempo, dopo l’elezione di Nikol Pashinyan – che si è rivelata controproducente per i rapporti tra Federazione Russa ed Armenia – il Cremlino aveva già avviato una linea di dialogo più morbida e cooperativa con l’Azerbaijan tale da riuscire, nelle situazioni di crisi, a raggiungere seppur minimamente ed insieme, alcuni importanti risultati e compromessi per gli equilibri interni caucasici. Le forze di pace russe hanno rispettato e aderito pienamente ai loro compiti assegnati in quella missione, provvedendo alle evacuazioni e cercando di coadiuvare interventi di diplomazia. La maggior parte delle provocazioni si sono verificate, in questi mesi, proprio lungo il corridoio di Lachin. Quando l’Azerbaijan ha deciso di attaccare il Karabakh, non si è trattato affatto di una guerra con l’Armenia – come molti sono stati abituati a pensare erroneamente dalle propagande occidentali – ma più esattamente d’ un affare interno al territorio stesso azero, che è rimasto in sospeso e si focalizza sullo status dell’autoproclamata Repubblica indipendente del Karabakh. L’Armenia, notiamolo, è rimasta a guardare passivamente gli eventi conflittuali, lamentandosi della Russia e giocando al “can che abbaia ma non morde”! La storia è quella esclusiva della Repubblica di Artsak – che si rifiuta di obbedire ad un governo a traino azero sentendosi culturalmente armena – e le tensioni ed i blocchi del corridoio di Lachin, che rappresentano il movente perfetto per creare dissapori, dal momento che esso è il transito unico disponibile per raggiungere l’Armenia, cara agli abitanti dell’Artsak. Lo scontro militare di questi giorni si è concluso con la resa della gente del Nagorno Karabakh, abbandonata da quell’Armenia che prometteva di difenderla, ed era intenta, invece, al trastullamento ludico a vantaggio degli statunitensi. Pashinyan, “uomo di Soros” e filostatunitense, si è limitato ad accusare la Russia di non aver saputo mantenere la pace, ma, in realtà, la degenerazione delle ostilità in Nagorno Karabakh era stata alimentata da una serie di dichiarazioni rilasciate già i giorni precedenti dallo stesso Pashinyan, quando annunciò la partecipazione dell’Armenia ad un’esercitazione militare fianco a fianco con gli USA, cui fecero eco una serie di crepe nelle relazioni con la Federazione Russa. L’interferenza venne raccolta dalla stampa propagandista occidentale, che la ha amplificata mettendo a nudo i rapporti non più cristallini tra i due presidenti, russo e armeno. Nel frangente favorevole, l’Azerbaijan ha deciso di approfittare delle incomprensioni in corso per attaccare militarmente il Karabakh e la capitale Stepanakert. Data la superiorità anche militare, tutto si è momentaneamente concluso con la resa del Karabakh, all’Azerbaijan. Se il Karabakh non avesse deposto le armi, la risposta azera sarebbe stata quella di continuare con la distruzione totale dell’area! Si è proceduto, così, il 21 settembre 2023, ad una mediazione strategica – cui l’Armenia non ha partecipato – tra Azerbaijan e Karabakh, assistita dalla rappresentanza russa per motivi logistici. In seguito, si è provveduto al disarmo dell’esercito arreso del Karabakh! Il presidente Pashinyan, alle prese con le proteste dei cittadini di Yerevan che lo accusavano di incompetenza, aveva fatto sapere di non considerare l’esodo dei cittadini armeni in Azerbaijan una priorità, e quindi, il trasferimento eventuale di civili dal Karabakh in Armenia, “sarà possibile sicuramente con la sua certa approvazione, ma solo qualora le parti lo ritengano necessario”. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il 5 ottobre 2023, a margine del vertice della Comunità politica europea a Granada (Spagna), firma una dichiarazione che riconosce il territorio dell’Azerbaigian, dopo che già il 28 settembre il capo del Nagorno Karaback, Samvel Shahramanyan, aveva a sua volta firmato un decreto che poneva fine all’esistenza della repubblica dal 1° gennaio 2024. Il leader azerbaigiano Ilham Aliyev, invece, si è rifiutato di partecipare al vertice spagnolo cui era ovviamente atteso, comunicandolo con breve anticipo prima dell’incontro. Il motivo: le parti, soprattutto Francia e Germania, non avevano permesso alla Turchia di prendervi parte. Avrebbero dovuto presenziare: il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il capo del Consiglio europeo Charles Michel, il presidente francese Emmanuel Macron ed il cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Il motivo del rifiuto è la posizione distruttiva della Francia, così come il disaccordo di Parigi e Berlino sulla partecipazione all’incontro della Turchia. In tali condizioni, la parte azera ha rifiutato di avviare i negoziati”, secondo una fonte diplomatica. L’interlocutore ha aggiunto che “tra i partecipanti ai negoziati si è formata un’atmosfera anti-azera”. La decisione dei rappresentanti di Baku di non recarsi in Spagna, secondo lui, è stata presa nel contesto della visita del capo del Ministero degli Esteri francese in Armenia, dove hanno discusso della fornitura di armi ed equipaggiamento militare, in un momento in cui la Francia sta ritirando le truppe dal Niger (da poco prevalso sui colonialisti francesi che lo occupavano). Nella serata del 5 ottobre, il vertice a Granada si conclude con l’assenza del leader azero, il cui assistente Hikmet Hajiyev, dichiara che il presidente dell’Azerbaigian sarà tuttavia pronto e disponibile per i negoziati in formato trilaterale con l’Armenia e l’Unione Europea, a Bruxelles. Nel frattempo, i membri del Parlamento europeo, in sessione plenaria a Strasburgo, adottano una risoluzione che chiede all’UE di imporre sanzioni contro l’Azerbaigian finchè Baku non mostrerà “una genuina volontà di rispettare i diritti e la sicurezza della popolazione armena”. In caso di aggravamento del conflitto tra Azerbaigian e Armenia, i deputati consigliano di fermare completamente l’importazione di petrolio e gas dall’Azerbaigian. Inoltre, le autorità dell’UE hanno deciso di aumentare l’assistenza finanziaria all’Armenia da 5,2 milioni di euro a 25 milioni di euro. In precedenza, l’Azerbaigian aveva adottato “misure antiterrorismo” sul territorio della repubblica non riconosciuta, che avevano provocato la morte di diverse centinaia di persone su entrambi i lati del conflitto.
La Russia ha interessi commerciali rilevanti nell’area caucasica, tuttavia, ha preferito lasciar andare gli eventi in mano all’Azerbaijan, poiché è ancora impegnata sul versante ucraino contro Kiev. Decide anche di intrattenere con il presidente turco Erdogan, alleato dell’Azerbaijan, un rapporto di circostanza ed equilibrato data anche l’entità di interessi secondari comuni. La Turchia di Erdogan, d’altra parte, si è proposta per mediare i negoziati tra Russia e Ucraina pur essendo un membro della NATO, e pur esaudendo gli interessi dell’Occidente collettivo che intende dilapidare le ricchezze dell’impero russo, attraverso la guerra delegata al presidente Zelenskji. Non totalmente, forse, dato che il sogno di Recep Erdogan è quello, non mai pronunciato ufficialmente, del ripristino dell’impero Ottomano, quindi, in virtù di questa chiave di lettura di alcuni analisti geopolitici, il rovesciamento degli equilibri in Azerbaijan ed Armenia rappresenta per lui un’occasione irripetibile che gli concede d’estendere il potenziale della Turchia, sulle catene commerciali fondamentali in quell’area. Da questo punto di vista, Erdogan antepone se stesso alle mire dell’Occidente collettivo di cui fa parte! L’America, frattanto, era rimasta a guardare da remoto gli avvenimenti improvvisi che hanno interessato il Nagorno Karabakh, per convenienza. L’interesse privato di Erdogan coincide infatti, in piccola parte, con le aspettative statunitensi di produrre un indebolimento dell’ascendente russo in quell’area geografica, per cui, lo hanno lasciato fare senza necessità di sprecare troppe proprie energie persuasive. L’unica mossa che gli USA si sono concessi è stata quella di stuzzicar scintille tra gli antagonisti servendosi del presidente Pashinyan. Inoltre, gli statunitensi sono tra quelli che hanno urlato per primi alle sanzioni contro l’Azerbaijan dopo l’intervento armato in Artsak. E l’Unione Europea? L’Azerbaijan ha un ruolo predominante in Europa, e soprattutto per gli approvvigionamenti energetici italiani. È il secondo fornitore di gas in Italia dopo l’Algeria, con una quota del 15% appena al di sopra di quella russa, scesa in conseguenza della guerra in Ucraina. E l’Italia è un paese che sopravvive grazie al gas. Quello azero, arriva prevalentemente attraverso il gasdotto Tap (si tratta di circa 10 miliardi di metri cubi l’anno). Ecco perché quel che sta accadendo nel perimetro caucasico, ci coinvolge da vicino in un momento storico ove cui ai popoli europei viene imposto il taglio del cordone ombelicale dalle relazioni energetiche con la Russia. Nonostante i difetti dell’Azerbaijan, l’Europa si è in passato mostrata benvolente e avvezza ad accordi comuni con esso, al punto che i parlamentari dell’Unione avevano ricevuto addirittura delle tangenti per ignorare gravi violazioni dei diritti umani, in quel Paese. A luglio del 2022 la Commissione europea annunciò un accordo di cooperazione siglato tra l’esponente Ursula Von Der Leyen ed il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, che prevedeva un aumento delle forniture di gas verso l’Europa tale da raggiungere il quantitativo di 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027. A settembre del 2023 interviene il viceministro degli esteri dell’Azerbaijan, Elnur Mammadov, il quale, puntualizza come sia necessario – per garantire l’estensione degli accordi oltre il 2027 – un intervento a spese dell’acquirente per consentire l’aumento della capacità di produzione e commercializzazione, ovvero, prendersi carico di tutto l’insieme dei costi dei processi di sviluppo ed estrazione. Questo perché, sostenevano anche gli analisti, “nessun paese si farebbe mai carico del rischio di miliardi di dollari per le spese di sviluppo, senza sapere di avere un compratore a lungo termine”. Dal momento che l’UE pavoneggiava il progetto personale di divenire, entro il 2050, un conglomerato di Paesi a zero emissioni e climaticamente neutra con l’ausilio delle sole rinnovabili, è evidente che servissero garanzie all’Azerbaijan, nella sua veste di fornitore a lungo termine. Non è l’unico tarlo. L’Unione Europea, nell’infittirsi della crisi in Karabakh, ha appoggiato con solerzia quella parte d’’Armenia di Pashinyan’ conficcata come una spina di rosa nel cuore dell’Azerbaijan, pontificando la tutela delle minoranze civili di radice armena che sbandieravano l’indipendenza della loro Repubblica non riconosciuta internazionalmente. Dopo il lancio improvviso dell’operazione militare dell’Azerbaijan contro l’autoproclamata repubblica in Nagorno Karabakh, alcuni euro deputati e membri del parlamento europeo avevano già pensato di avanzare accuse alla Commissione di Bruxelles, per il fatto di non aver protetto abbastanza gli interessi degli armeni, troppo impegnati ad accordare con l’Azerbaijan gli approvvigionamenti di gas per i paesi UE. Quindi, avevano chiesto a Ursula Von Der Leyen di agire, ed “imporre sanzioni all’Azerbaijan compreso il blocco delle importazioni di gas”, fino alla firma della risoluzione votata il 5 Ottobre 2023. L’ ipotesi era stata proposta in prima istanza dall’eurodeputato tedesco Reinhard Butikofer del gruppo dei Verdi, spalleggiato dalla rappresentante francese Nathalie Loiseau. La Commissione UE è stata criticata per la lentezza con cui ha risposto alle richieste d’aiuto del Nagorno Karabakh. Ma, sanzionare l’Azerbaijan a discapito dei rifornimenti energetici e petroliferi dell’Europa, azzoppata già dal taglio diretto di approvvigionamento dalla Russia, è una specie di suicidio e di utopia perversa. Si sappia che, ad esempio, nel periodo gennaio-settembre 2022, i paesi dell’UE hanno acquistato gas dall’Azerbaijan per 9,6 miliardi di euro ed inoltre, il 15 luglio del 2023, l’UE si era proposta per finanziare la costruzione d’ un collegamento ferroviario tra Armenia e Azerbaijan, facendolo annunciare nel corso di una conferenza dal capo del Consiglio europeo, Charles Michel: “La costruzione del collegamento ferroviario dovrebbe essere avviata immediatamente. L’Ue è pronta a fornire sostegno finanziario. Alcuni dettagli devono essere chiariti ma le posizioni su questo argomento stanno già convergendo “. L’Italia, invece, oltre che per le forniture di gas, si stava accordando con l’Azerbaijan anche su quelle di armi. La lista della spesa di Baku comprendeva jet d’addestramento, fucili d’assalto, semoventi contraerei, batterie di missili terra-aria, aerei da trasporto. Ed inoltre, gli azeri, sono uno dei maggiori fornitori di petrolio dell’Italia (22,3% delle importazioni nel 2021). È bene notare che l’Azerbaijan importa gas anche dalla Russia attraverso un accordo che consente a Baku di soddisfare la propria domanda interna, e già in precedenza, questo particolare aveva stizzito i paesi dell’Unione europea. Ma si sa che l’importante alla fine, è far credere al popolino che dalla Russia non si riceva più nulla e attraverso nessuna via! Una bugia raccontata anche nei riguardi di altri approvvigionamenti, ad esempio dall’India, la quale anche lei si aggancia ai russi per soddisfare le esigenze commerciali dei Paesi. Quello che accadrà nei prossimi giorni tra UE ed Azerbaijan, non è dato saperlo, ma lo si può immaginare poichè è noto come l’Europa, e soprattutto l’Italia, siano vittime di un ricatto sempre crescente che impedisce le evoluzioni nei mercati geopolitici che contano. Attualmente, l’Italia è sottoposta al pressing che la persuade alla firma del MES, patto di stabilità, ed è stritolata dai ricatti via mare dell’aumento delle quantità di migranti che sbarcano sulle coste delle sue isole, di cui il caso più eclatante è stato quello di Lampedusa. Spingere l’Italia nella morsa dell’aggravamento delle situazioni sociali, tagliarle i contatti che la salvano dal punto di vista anche energetico, potrebbero essere valide mosse per convincere il governo Meloni o il prossimo dopo di lei, ad abbracciare il salvagente del MES. Una volta esaurito questo passo, l’UE avrebbe in mano tutto il potere necessario per fare all’Italia ciò che ha fatto alla Grecia, rilevarne i porti principali e tenere per sé il controllo delle rotte di approvvigionamento che si stanno aprendo verso l’India, su cui l’Italia sta lavorando da tempo. È palese, che i politici italiani attuali non abbiano le competenze, la volontà, l’astuzia di reagire, e probabilmente molto spesso, nell’ignoranza generale che li caratterizza in materia soprattutto fiscale e doganale, nemmeno si rendono conto quando ad una operazione corrisponde: un danno per gli italiani, e un guadagno esclusivo per l’asse franco-tedesco. L’Italia può solo ridursi a un gingillo nelle mani di qualcun altro che le permette il minimo indispensabile, nonostante essa sia in effetti il motore più ricco e promettente d’Europa grazie anche alla posizione geografica al centro del Mediterraneo ed al suo clima, per cui, coi suoi prodotti agricoli sfama mezza Europa a poco prezzo. Il prezzo dei migranti, ridotti in schiavitù. Sull’Azerbaijan e sviluppo futuro delle nostre relazioni commerciali, il progresso è possibile solo se l’UE evita di schierarsi e di ricorrere alla tecnica sanzionatoria, in un momento che anticipa il periodo invernale e che coincide con l’inasprimento delle relazioni statunitensi ed europee con la Cina.
06 ottobre 2023 – PAOLA MORA – Qui Radio Londra Tv