TELEGRAM, LA COLONIZZAZIONE DI UNA TERRA DIGITALE LIBERA. ACCUSE FITTIZIE AL CEO PAVEL DUROV.

TELEGRAM, LA COLONIZZAZIONE DI UNA TERRA DIGITALE LIBERA. ACCUSE FITTIZIE AL CEO PAVEL DUROV.

di Paola Mora

Dodici capi d’accusa pendono sulla testa del giovane Pavel Durov, CEO e fondatore di Telegram, indagato dalla magistratura francese, a quanto pare a partire dall’8 luglio 2024; eppure, nessuno ha ancora realmente capito la natura dei crimini di cui lo si accusa e che ha spinto i servizi segreti francesi a prelevarlo appena sceso dal suo jet privato il 24 agosto, presso l’aeroporto di Bourget, Francia. Durov era di rientro dall’Azerbaijan, e a Parigi avrebbe dovuto fare una breve sosta. Non è dato ancora sapere per quale ragione l’uomo abbia deciso una fermata in Europa. Si parla di una cena. La sede di Telegram è Dubai, dove Pavel Durov attualmente vive più stabilmente anche se è solito viaggiare. 

Leggiamo sul comunicato stampa del Tribunale giudiziario di Parigi:

1 – Complicità nella gestione di una piattaforma online per lo svolgimento di operazioni illecite di gruppi organizzati   

2 – Rifiuto di fornire alle forze di sicurezza le informazioni o i documenti necessari per condurre le indagini e utilizzare le intercettazioni.

3 – Complicità in possesso di materiale pornografico con minorenni; 4 – diffusione di un insieme di immagini di minore a carattere pornografico.

5 – Complicità nella distribuzione della droga, acquisto, trasporto, possesso, offerta e trasferimento di narcotici.

6 – Complicità in crimini informatici

7 – Complicità in frodi all’interno di gruppi criminali organizzati; 8 – Complicità con associazioni a delinquere finalizzate a commettere delitti.

9 – Riciclaggio per mano di bande organizzate.

10 – Erogazione di servizi di crittografia finalizzati a garantire funzioni di sicurezza/riservatezza senza adeguata dichiarazione.

11- Fornitura di un mezzo di crittologia che non garantisce esclusivamente funzioni di autenticazione o controllo dell’integrità senza precedente dichiarazione

12 – L’importazione del mezzo di crittologia non garantisce funzioni di autenticazione o controllo dell’integrità senza precedente dichiarazione.

Le autorità francesi accennano a un’indagine che riguarderebbe una “persona sospettata di numerosi crimini informatici”, ovvero, il signor Pavel Durov a quanto pare; ma la lista delle accuse al fondatore di Telegram va ben oltre le risposte fornite anche dallo stesso politico Emmanuel Macron in un suo intervento sul fatto specifico, dato in pasto all’opinione pubblica. I giornali descrivono, sui loro titoli in prima pagina, Pavel Durov come un terrorista pericolosissimo e, l’idea della propaganda di regime, è certamente quella di far credere ai cittadini europei che il proprietario di una piattaforma digitale possa davvero essere ritenuto colpevole o complice dei crimini commessi da quegli utenti, tra milioni di iscritti, che la utilizzano sui propri cellulari per le proprie azioni illecite. In realtà, ci si potrebbe ridere solo a pensarci tanto è ridicola questa tesi! Da quando i social esistono, essi sono ovviamente ‘frequentati’ anche da malintenzionati, stalker, hacker, terroristi, pedofili, assassini, che usano le messaggistiche per comunicare tra loro e delinquere; ma non è mai accaduto che a pagarne le conseguenze sia stato il fondatore di una qualsiasi di queste piattaforme digitali su cui si muovono miliardi di dati. Analizzando i capi d’accusa, le forze dell’ordine starebbero indagando su uno o più gruppi criminali di cui Pavel Durov è ipoteticamente complice, e che si sarebbero macchiati di reati di varia entità che vanno dalla distribuzione di droga, alla condivisione di materiale pornografico per minori, all’hackeraggio. Sembra quasi di leggere le accuse mosse tempo fa ad un’altra piattaforma, quella di Mark Zuckerberg proprietario di Facebook (oggi Meta), con la differenza che quest’ultimo non è mai stato arrestato rischiando vent’anni di galera! Proprio Zuckerberg ha dichiarato, in concomitanza dell’arresto di Pavel Durov, di aver ricevuto forti pressioni anche lui affinché censurasse – per conto dell’amministrazione Harris\Biden – diversi contenuti degli utenti nel periodo Covid 19 privandoli del diritto costituzionale a un’informazione libera e trasparente. In effetti, un dato interessante è che Facebook avrebbe speso oltre 23 milioni di euro per garantire nel 2020 la sicurezza del suo amministratore Mark Zuckerberg dopo che erano state individuate numerose “minacce alla sua persona”. I giornali parlavano di denaro investito per proteggere il signor Zuckerberg dai cosiddetti negazionisti, tuttavia, è illogico essere ricorsi a cifre simili solo per questo motivo. Ricordiamo anche che qualche anno prima (2018-2019), il creatore di Facebook era stato travolto dallo scandalo Cambridge Analytica in cui si accusava Facebook di aver raccolto i dati personali di 87 milioni di account senza consenso e per scopi di propaganda politica. Anche le campagne elettorali di  Ted Cruz e Donald Trump avrebbero usato informazioni ottenute dalle violazioni dei dati di  Analytica per influenzare l’opinione pubblica.  Zuckerberg testimoniò davanti al Congresso ammettendo che si fosse trattato di ‘un errore personale’ e sborsò un risarcimento salatissimo.  Nel settembre 2020 le cose non migliorarono molto! Cominciò una fitta rivolta delle star di Hollywood chiamata Stop Hate for Profit: la proposta dei divi di Hollywood era boicottare i social media, accusandoli di fare cassa alimentando l’odio sociale e le fake-news.  Ricordiamo che il compagno di Kamala Harris, Douglas Emhoff, è uno dei più accreditati avvocati delle celebrità della Silicon-Valley nonché il “primo partner di un vicepresidente che pratica la religione ebraica“. Infatti, ora che Kamala è in corsa per le presidenziali, i divi e gli attori dello star system sono tutti schierati a favore della Harris (esattamente come già era accaduto per Joe Biden quando scelse Kamala per affiancarlo in veste di vice).  Il boicottaggio fece all’epoca crollare il valore di Facebook di svariati miliardi di dollari. Successivamente, è cominciata anche la piena attività censoria sui social dell’amministrazione Biden e dei servizi segreti legata all’emergenza Covid 19, mentre già era in atto una parallela azione di manipolazione della comunicazione per pilotare le preferenze nelle elezioni americane (documentata e svelata dai Twitter Files di Elon Musk) che si conclusero con l’assalto a Capitol Hill e sconfitta di Donald Trump

La Casa Bianca, il 27 agosto 2024 risponde alle accuse di Mark Zuckerberg sulle pressioni esercitate su di lui a censurare i contenuti del social,  sostenendo di aver sempre e solo “favorito” comportamenti e azioni volti alla “sicurezza sulla salute pubblica“; ma non rispondono alle altre confessioni del CEO di Facebook, il quale ha dichiarato anche che nel 2020 alcune della pressioni e intimidazioni riguardavano la censura dei contenuti sulla vicenda Lap-Top di Hunter Biden. Che Zuckerberg sia parte del sistema è indubbio, ciò non toglie che possa aver ricevuto delle minacce o possa essere stato istigato a violare il diritto alla libera espressione dei cittadini non solo americani, ma di tutto il mondo connesso con la sua piattaforma. Nel frattempo, è stato istituito il Digital Services Act promosso dall’Unione europea che, al pari della censura americana resa possibile dall’intrusione dei servizi segreti americani ed algoritmi sulle piattaforme aperte al pubblico (Meta, Instagram, Twitter…),  reprime la libertà di pensiero, opinione, il linguaggio, e viola tranquillamente il diritto alla privacy.   Quindi, se i capi d’accusa sono realmente quelli elencati, le autorità francesi hanno arrestato Pavel Durov facendosi promotori e apripista – per conto evidentemente dell’amministrazione Biden e servizi segreti americani – di quella che è un’affannata corsa alla repressione ma, soprattutto, è chiaro che gli Stati Uniti D’America vogliono poter controllare Telegram al pari degli altri social network in cui si sono addentrati illegalmente, e cioè, facendo pressione e minacciando i fondatori e proprietari di queste piattaforme digitali. Zuckerberg lo ha apertamente confessato! Anche Pavel Durov, in un’intervista rilasciata al conduttore Tucker Carlson tempo fa, aveva raccontato che l’intelligence americana aveva cercato di corrompere un suo dipendente affinché introducesse di nascosto un ‘virus\spia’ all’interno del sistema informatico di Telegram per permettergli di poter valicare il portone blindato della privacy che la messaggeria garantisce ai suoi iscritti. Le accuse a Durov giustificherebbero il futuro perseguimento giudiziario di tutti i CEO disponibili sulla piazza, che utilizzano la crittografia senza aver prima formalizzato una richiesta (come è indicato negli ultimi capi d’accusa del governo francese). Paradossale che proprio in Francia, i politici e i funzionari legati a Emmanuel Macron che utilizzano Telegram assiduamente, non abbiano mai mosso alcuna critica sulle modalità della piattaforma… fino ad oggi! Il Presidente Macron ha rassicurato che è tutto in mano alla magistratura e che non c’è alcuna implicazione politica nel caso Pavel Durov.

Pavel ha ora il suo diritto di difendersi e di dimostrare che è innocente. Quindi, vedremo come si comporterà la procura rispetto a queste indagini e al processo. Il CEO di Telegram potrebbe uscirne indenne, o potrebbe dover pagare una sanzione, o potrebbe dover raggiungere un compromesso per essere rilasciato, o potrebbe restare in galera e diventare il nuovo ‘Assange‘.  Al momento, in assenza di elementi precisi, possiamo fare solo delle osservazioni e stimare delle ipotesi in base al contesto in cui ci troviamo! Tutti i crimini di cui Pavel è accusato – in cui sarebbero coinvolte associazioni a delinquere in un numero non ben indicato – trovano parziale spiegazione al punto 2,9,10,11 del comunicato stampa del Tribunale francese. Ad esempio, leggiamo di un “rifiuto di fornire alle forze di sicurezza le informazioni o i documenti necessari per condurre indagini e utilizzare le intercettazioni”, ed anche allusioni all’utilizzo di sistemi di crittografia privi di una idonea dichiarazione preventiva. Quali intercettazioni e indagini? Non si sa. Forse, non una in particolare, ma tutte quelle relative a famigerati gruppi di criminali specializzati nei vari tipi di reati elencati. Ovviamente, dubitiamo che il signor Durov sia implicato in tutti questi crimini in prima persona e che quindi possa fornire informazioni o testimonianze utili alla conduzione delle suddette investigazioni! Allora, probabilmente, il solo modo in cui il CEO di Telegram potrebbe assistere le autorità francesi – o meglio, i servizi segreti americani sotto mentite spoglie –  non essendo implicato con i criminali (benché sulla scia di una mancata collaborazione con le autorità lui venga etichettato addirittura come un complice degli illeciti), potrebbe avere a che fare con l’ipotesi di costringerlo a consentire agli ‘investigatori’ di ‘entrare nel cuore di Telegram’, oppure fornire in un “modo appropriato” i documenti con cui poter condurre le loro indagini. Esattamente come all’epoca costrinsero Mark Zuckerberg; il quale, sappiamo essere stato coinvolto in diverse beghe giudiziarie da cui, stranamente, è poi uscito illeso. Zuckerberg non si è mai fatto la galera!  Cosa non torna? Sembra semplice. L’intercettazione, ad esempio, prevede che si utilizzi una “spia” nascosta nei luoghi o negli apparecchi della persona indagata. Mentre Pavel Durov è ancora trattenuto in prigione, lo staff rilascia un suo comunicato dove spiega che la piattaforma Telegram rispetta le normative europee e dunque non c’è motivo per cui il fondatore venga trattenuto. Il Digital Service Act, d’altro canto, adopera determinati provvedimenti di censura ed algoritmi solo su quelle piattaforme che superano un certo numero di utenti. Telegram sembra non appartenere a quella categoria (anche se sta superando la soglia di iscritti che pone il social sulla linea rossa del protocollo legislativo europeo, e forse è proprio qui il nocciolo della questione). La Commissione europea infatti, comunica di essere sì in contatto con lo staff Telegram, ma di non esercitare un controllo diretto. Dichiara anche che sta supervisionando i numeri del social. Telegram, a causa del boom mediatico provocato dall’arresto di Pavel Durov sta salendo vertiginosamente nel numero dei frequentatori anzichè diminuire in quanto “luogo reputato pericoloso dalle indagini in corso”. Intanto, i giornali occidentali dovrebbero raccontare all’opinione pubblica la verità, anziché far credere che il CEO Pavel Durov non conceda alcuna verifica in caso di necessità, come se la piattaforma fosse un covo di criminali senza alcun controllo! Pavel è innanzitutto cittadino russo, la sua Patria è la Russia, ma ha in seguito acquisito anche la cittadinanza francese. Probabilmente, è questo il motivo per cui è atterrato in Francia credendo di essere protetto. Attualmente, Telegram è attivo in Russia nonostante le tensioni iniziali che spinsero il suo fondatore, anni fa, a lasciare il suo Paese per avviare il progetto di messaggistica crittografata altrove. In Russia, Telegram ha ripreso a funzionare dopo un blocco temporaneo e dopo che il CEO è riuscito a stringere degli accordi soddisfacenti con Mosca per garantire quel minimo di sicurezza e di collaborazione che gli veniva richiesto. Ovviamente, non si tratta di una manipolazione diretta dei dati da parte delle autorità russe ma, evidentemente, di richieste mirate che passano dalle mani degli addetti alla piattaforma in nome di quella privacy che si deve garantire agli utenti. In Europa, invece, dopo l’emanazione del Digital Services Act, la collaborazione parziale di Durov è riscontrabile per via del fatto che anche su Telegram – come accade per altri social – alcuni canali considerati non conformi alle leggi europee sono stati banditi – fermo restando che l’UE non ha alcun potere di accesso preferenziale ai materiali di Telegram.

 Tuttavia, la piattaforma conta un numero irrisorio di censure se confrontata con tutti gli altri social  dove gli algoritmi impiantati dai proprietari, sotto richiesta e pressione di governi e intelligence, sono responsabili di una repressione di pensiero e parola senza precedenti; e dove, cittadini per bene vengono bloccati e sanzionati nelle loro attività sui social senza un reale motivo, solo per aver scritto vocaboli non mai indicati come problematici nei regolamenti della Community al momento dell’iscrizione  – ma per qualche ragione sono considerati illegali; o per aver discusso in pubblico argomenti tabù come il genocidio palestinese; o per aver messo in discussione i vaccini; o per aver incitato presumibilmente ma mai certamente, l’odio! In Gran Bretagna, è addirittura iniziata la moda di arrestare i cittadini per qualcosa che hanno scritto o detto sui loro profili, ovvero, tutti quei contenuti che non corrispondono all’ideologia del governo in carica. Ma questo, vuol dire interrompere completamente la democrazia, la quale si basa anche sul presupposto che può esistere una opposizione e critica pacifica al governo in carica e alle sue proposte, tanto che sono previste le elezioni in cui militano un certo numero di partiti non necessariamente cloni l’uno dell’altro. Annullare il dibattito e la critica anche pungente e irriverente, vuol dire annullare la libertà degli elettori. La censura senza limiti ha provocato dal 2020 una migrazione di massa su Telegram, soprattutto dei giornalisti indipendenti che hanno necessità di confrontarsi, documentare anche versioni dei fatti e avvenimenti di cronaca e di guerra i cui dettagli sono puntualmente omessi o censurati dai mass media di regime. Anche la piattaforma X di Elon Musk permette grossomodo di esprimersi, ma non ai livelli di Telegram. La strage palestinese, ad esempio, conta su Telegram decine e decine di archivi in cui viene mostrata l’eradicazione puntuale e tragica del popolo palestinese tutto, ed in cui sono documentati centinaia di dati sui crimini di guerra commessi da Israele – comparabili senza alcun dubbio ai fatti storici dei campi di concentramento nazisti.

La marea di video, testimonianze locali sui bombardamenti, sulle situazioni critiche negli ospedali e degli sfollati; le prove dei crimini dei militari dell’Idf sui civili – tra cui anche la profanazione dei cadaveri dei palestinesi uccisi dai soldati e dalle bombe, e poi seppelliti dalle loro famiglie; le  immagini dei bambini feriti e operati dai medici senza anestesia, o morti e coi corpicini spappolati tenuti in braccio dai genitori… sono prove preziosissime del genocidio in corso; un domani potrebbero servire per sostenere un grande processo in un Tribunale creato ad hoc. Tutti gli iscritti a Telegram sono testimoni senza alcun filtro governativo! Ed è per questa ragione, che lo Stato di Israele ha premuto molto sulle piattaforme digitali richiedendogli di rimuovere o  bandire compulsivamente tutti quei canali che raccontano la tragica storia di una carneficina!

Nei telegiornali e mass media tradizionali, nulla di tutto ciò viene mostrato al pubblico perché a priori non ci si può permettere di criticare Israele! Su Telegram, ultimamente sono spariti – per gli europei iscritti – alcuni di questi canali legati alla storia di Gaza, ma ne restano attivi tantissimi a differenza di quel che accade su Meta, Instagram, X, dove i documenti di questo tipo sono quasi totalmente messi al bando e introvabili. Per quanto riguarda invece i reati più comuni commessi attraverso internet, su tutte le piattaforme ne troviamo traccia. Esistono tuttavia i sistemi per svolgere le indagini e per denunciare alla polizia postale qualcosa che è stato commesso in rete. Per tutte queste ragioni, il fatto che il CEO di Telegram abbia rifiutato di collaborare con le autorità, deve avere a che fare con qualcosa di diverso che probabilmente gli è stato chiesto, e su cui Pavel Durov non ha ritenuto di poterli aiutare.  Telegram è una piattaforma dove la libertà di espressione e documentazione è rispettata quasi al cento per cento, ma, allo stesso tempo, possiede una messaggistica blindata avvalendosi della crittografia. Tutti i dati vengono salvati sui server della società dove risultano accessibili.   Il fatto che esista un massiccio scudo ad assicurare la privacy agli utenti iscritti, ha reso questa piattaforma utilissima anche per le missioni militari degli eserciti in guerra. Nel conflitto russo-ucraino, i soldati di ambo gli schieramenti utilizzano la messaggeria di Telegram per trasmettersi alcune informazioni o condividere alcuni feedback.  Ecco perché apparentemente, se le chiavi di accesso alla piattaforma finissero nelle mani dei servizi segreti americani, russi, o israeliani, questo sarebbe fastidioso. Tuttavia, per quanto i mass media insistano a premere sulle preoccupazioni della Russia per l’arresto di Pavel Durov e raccontino che ora i militari russi devono immediatamente “cancellare tutto” dai loro profili sulla messaggeria, dubitiamo che le forze armate russe – così come quelle di altri eserciti – o i vari funzionari, si appoggino davvero completamente ai social  soprattutto quando si tratta di comunicazioni molto serie e delicate. Ovviamente, i canali usati sono di certo interni ai reparti militari, diversi da Telegram o da qualunque altro social. Non solo. Telegram offre possibilità ai liberi informatori di: consultarsi indirettamente rispetto ai materiali trovati, confrontare le fonti da un canale all’altro nel giro di pochi minuti, correggere velocemente quelle “notizie tranello” per cui si cade in errore e quindi rettificarle, venire a conoscenza dei crimini di guerra, smascherare le bugie propagandistiche dei mass media, avere un contatto diretto coi civili vittime delle guerre, delle violenze, degli attentati, offrire prospettive diverse da cui guardare il mondo. Spesso, Telegram aiuta a catturarli… i criminali! Più di una volta, i video amatoriali girati dai testimoni degli attentati terroristici e le sequenze in rete, hanno permesso di individuare targhe di veicoli, fisionomie, percorsi, attraverso le segnalazioni degli utenti.

È assurdo pensare che il fondatore di Telegram si rifiuti di aiutare le autorità su una qualsivoglia indagine specifica importante! Chissà. Ma è ovvio ritenere, che il CEO si rifiuterebbe certamente di fornire chiavi di accesso ai server per condurre le indagini direttamente dall’interno della piattaforma. I capi d’accusa sembrano riferirsi a una serie di reati generalizzati e non specifici. Di certo, le chiavi d’accesso di Telegram non possono essere consegnate ai servizi segreti francesi o americani… e non importa, se a breve ci sono le elezioni negli Stati Uniti D’America e Donald Trump rischia di vincere la partita!  Secondo il portavoce della presidenza russa Dmitry Peskov, le accuse contro Durov sono molto gravi, tuttavia “richiedono una base di prove altrettanto seria. Altrimenti, si sta solo tentando di limitare la libertà di comunicazione e, si potrebbe dire, addirittura di intimidire direttamente il capo di una grande azienda”. Cioè, potrebbe essere proprio la politica ad essere il mandante di questa cattura, la cui presenza in questa storia è stata però negata a spada tratta dall’ancora Presidente Emmanuel Macron! Probabilmente, l’intervento della magistratura francese su Pavel Durov, che è uno scandalo a tutti gli effetti se queste prove sono inconsistenti, potrebbe avere diverse finalità tutte riconducibili al controllo della sua piattaforma, elezioni, e libertà di espressione. Ma è anche una chiave, che serve a trasferire queste aziende nelle mani di poteri più grandi che non sono le mani dei fondatori legittimi. Attendiamo ora di sapere, di cosa è accusato Pavel Durov!

27 agosto 2024 – PAOLA MORA – Qui Radio Londra Tv

 

PAUSA CAFFE’

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