IMPROVVISAMENTE E’ “SCOPPIATA” LA TREGUA: STOP ALLA GUERRA ISRAELE-HAMAS, DALLE ORE 11:15 DEL 19 GENNAIO 2025

IMPROVVISAMENTE E' "SCOPPIATA" LA TREGUA: STOP ALLA GUERRA ISRAELE-HAMAS , DALLE ORE 11:15 DEL 19 GENNAIO 2025

di Anna Turletti - corrispondente estero

Dalle 16.20 (ora italiana) del 19 gennaio 2025, dopo oltre 471 giorni di guerra e di assedio israeliano a Gaza, sono libere le prime 3 prigioniere israeliane in ostaggio di Hamas, dal 7 ottobre 2023. Dopo che l’accordo è stato finalmente raggiunto il 17 gennaio u.s. dai due contendenti, con il supporto di Qatar, Egitto e Stati Uniti, ieri tutta la stampa e la televisione mondiale hanno dato un enorme risalto a questo primo passo verso una fase di tregua, dopo i lunghi mesi passati in un sanguinoso conflitto. A proposito della trasmissione sull’evento, che ho visto via internet sul sito RAI, sono rimasta molto colpita dal tipo diretta diffusa.

Le tre ragazze sono state “restituite” dagli esponenti di Hamas nel centro di Gaza alla Croce rossa, sottoposte ad un primo controllo sanitario che ne ha certificato il buono stato di salute, sono state consegnate dai rappresentanti di questa organizzazione alle forze israeliane e infine portate fuori dalla striscia di Gaza, nella vicina base israeliana di Re’im, dove hanno potuto riabbracciare velocemente le rispettive madri, fatte arrivare appositamente proprio in quel kibbutz che il 7 ottobre 2023 era stato teatro della stranamente fulminea invasione da parte di militanti di Hamas, provenienti dalla striscia di Gaza. Quei militanti che avevano raggiunto il sito, nei pressi di Re’im, in cui si stava svolgendo il festival musicale Universo Parallelo – Israel Edition. Il tutto è stato spiegato con dovizia di particolari dai giornalisti del Mainstream.

Fino a qui niente di particolare e, anzi, tutto regolare; anche piuttosto commovente a livello umano, in una giornata che passerà alla storia come (e lo speriamo) il primo giorno in cui “le armi tacciono” a Gaza, come ha affermato Biden, proprio il giorno prima che lui abbandonasse la massima carica mondiale, la presidenza degli Stati Uniti d’America, per cedere il passo al trionfante Trump. E questo lasciando perdere il penoso siparietto su chi dei due, il presidente uscente o quello entrante, era stato più determinante nella concretizzazione di questo accordo. Quello che tuttavia ho percepito come un peso è la sproporzione di importanza mediatica concessa alle tre ragazze israeliane (due su tre con doppio passaporto, di fatto occidentale e israeliano), dai Media nostrani e non, i quali hanno documentato con una telecronaca “minuto per minuto” e con uno sproloquio di inviati e di invitati, il rilascio delle tre donne ben prima delle 16.30, orario in cui finalmente è stato confermato l’evento.
Nella diretta sono stati dati mille particolare delle tre giovani, e non solo a livello di nomi, cognomi, età anagrafica, ma per esempio ripercorrendo ogni momento della loro esperienza da quando erano state prese nel loro kibbutz, o durante la festa e raduno del 7 ottobre, allorché erano comparsi i soldati di Hamas. Si è parlato anche delle loro madri, delle loro famiglie, delle autorità israeliane etc.etc. Insomma da una parte della barricata, a queste tre ragazze è stata data totalmente una dignità, un’essenza, un volto, una vita mediatica… e dall’altra parte? quella dei prigionieri palestinesi??? Quello che ci è stato riportato dai colleghi giornalisti italiani è che in Cisgiordania, secondo le informazioni dell’emittente qatariota Al Jazeera, la Croce Rossa ha potuto entrare nel carcere di Ofer per prendere in carico i detenuti palestinesi incarcerati dall’esercito israeliano da mesi.
I media internazionali hanno parlato distrattamente di 90 persone, 62 donne tra cui Khalida Jarrar parlamentare palestinese membro di spicco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (detenuta da mesi, dai carcerieri israeliani, in una cella di isolamento di 1m x 2) e di 28 uomini di cui almeno 12 minorenni, mentre in un primo tempo era stato detto 69 donne e 21 minori, dalla fonte Al Jazeera. Ecco, di questi prigionieri che risultano solo colpevoli di avere manifestato idee di libertà per il proprio popolo e di autonomia per la propria nazione, che cosa sappiamo? Hanno dei volti? Hanno dei nomi? Hanno una vita e una dignità, anche mediatica?
La risposta è NO. fanno parte degli individui di serie B, che non devono fare rumore, che non devono avere un volto, una storia, e un impatto sull’opinione pubblica. Per loro, quindi, non solo viene applicata la procedura di “abolitio nominis” (eliminazione del nome) ma ovviamente anche la “damnatio memoriae”, entrambe procedure di antica tradizione romana.


E inoltre, con l’assenza di particolari, volutamente applicata a questi prigionieri palestinesi ed ammessa dalle autorità israeliane per “motivi di riserbo”, è stata portata a termine la completa disumanizzazione del nemico, così come spiegava in maniera ineccepibile, l’onesto e compianto scrittore, reporter e inviato di guerra Tiziano Terzani. Come sempre, tuttavia, la storia viene scritta dai vincitori e tra questi, in primis, gli USA che per voce del traballante presidente uscente Joe Biden hanno dichiarato “Oggi molti camion di aiuti sono entrati nella Striscia di Gaza e soprattutto oggi per la prima volta le armi tacciono. La regione è stata fondamentalmente trasformata. Il leader storico di Hamas, Sinwar, è morto. I sostenitori di Hamas in Medio Oriente sono stati fortemente indeboliti da Israele, sostenuto dagli Stati Uniti. Hamas non governerà. E mentre Joe segnalava che questa era stata la trattativa più complessa della sua esistenza e carriera, il presidente entrante, Donald Trump, dichiarava sui suoi social che nulla di tutto ciò sarebbe avvenuto senza l’intervento suo e del suo staff di esperti, e senza le sue pressioni sul recalcitrante premier sionista, Netanyahu.

La lacuna evidente di entrambi i presidenti USA è stata tuttavia la totale vergognosa assenza di parole e di considerazione dell’innocente popolazione palestinese, trucidata e violentata dalla spropositata reazione israeliana. I vincitori hanno comunque “fatto i conti senza l’oste”.
Come una fenice che rinasce dalle sue ceneri, e come infiammati da Nemesis, la dea greca della vendetta o della giustizia divina, in barba a tutti i proclami occidentali e seppure dati per vinti e sfiniti, i militanti di Hamas sono ancora in piedi.
Lo si vede chiaramente in diverse foto che riprendono la piazza di Gaza in cui hanno gestito il rilascio delle tre israeliane e in vari video che mostrano la folla stipata e contenuta dai militanti del reparto speciale di Hamas, Unità Shadow, che indossavano di nuovo la divisa mimetica scura, con la fascia verde attorno al capo.


Anche in questo caso gli esperti americani ed europei ci danno in pasto i loro numeri e conclamano, su oltre 40.000 soldati attivi per Hamas prima del 7 ottobre 2023, un totale rimasto di meno della metà, tra i 13.000 e i 18.000 militanti, i quali avrebbero perso il controllo della striscia di Gaza, che ormai -secondo il volere dei vincitori- dovrebbe essere gestita in futuro da forze miste di Hamas e della concorrente Autorità Nazionale Palestinese, presente in Cisgiordania. Ma Hamas punta a smentire queste teorie. Per dimostrare di essere in controllo assoluto ha mandato in giro a Gaza i suoi poliziotti, per dire: “siamo qui, governiamo”. E questa presenza sarebbe confermata, ma non sottolineata dai media nostrani, dal fatto che in Israele si parlerebbe di una presenza a Gaza ancora del 40% delle gallerie dei soldati palestinesi della resistenza, e dal fatto che il movimento di Hamas, tuttora sotto la direzione del nuovo leader, Mohammed Sinwar, il fratello dell’assassinato Yahya, sarebbe in fase di ricerca e di reclutamento veloce di nuovi proseliti e soldati per riempire i vuoti, offrendo incentivi in favore delle famiglie aderenti.
Inoltre, sempre secondo valutazioni israeliane, Hamas avrebbe smesso di avere una struttura organica con brigate e battaglioni di guerriglieri in quanto smantellati dall’offensiva nemica e si sarebbe dotato di nuclei militari più piccoli, che si muovono con maggiore autonomia affidandosi alla tattica meno dispendiosa del “mordi e fuggi”. I gruppi avrebbero continuato a colpire con azioni limitate in grado comunque di arrecare danni all’avversario. Questi dati che filtrano da fonti occidentali, sembrano quindi andare nella direzione dei miei pensieri, non propriamente ottimistici.
In che senso? Al di là dei proclami trionfalistici e di una nuova mediatica “pax americana” nell’irrequieto Medio Oriente, io penso al fatto che un popolo devastato e dilaniato come quello palestinese soprattutto di Gaza, nonostante le scene di festa popolare che ci hanno mostrato in certi video sui social, NON POSSA DIMENTICARE la violenza, la morte, la malattia, la fame, il freddo, la perdita, il lutto e tutte le brutture subite in questi ultimi 471 giorni per opera dell’esercito di aggressione (non di “difesa”) israeliano, ma non possa neanche passare completamente sopra le responsabilità di innesco della guerra dovuto ad Hamas, avvenuto a seguito dell’evento del 7 ottobre.

In sostanza dopo gli ulteriori 471 giorni di sangue dal 7 ottobre 2023, temo che la ferita che segna i Palestinesi dal 1948, anno della Nakba, cioè dell’espulsione dalle loro terre ad opera dei paramilitari sionisti e dei militari del nativo stato di Israele, sarà una volta più aperta, più grondante, e più foriera di sofferenze e di vendette.
E temo che l’abisso aperto tra i due popoli geograficamente vicini, ma distantissimi a livello empatico, di Israele e Palestina, sarà sempre più incolmabile.
Altroché soluzione di due stati coesistenti e mutuamente riconosciuti…
Questo il mio timore e la mia pena per un Medio Oriente che è da tempo entrato nel mio cuore. Ma spero di sbagliarmi…

A presto
Anna

20 gennaio 2025 – ANNA TURLETTI – Qui Radio Londra Tv

 

PAUSA CAFFE’

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