TRUMP HA UN PIANO, O LE SUE PAROLE SONO BOLLE DI SAPONE?

TRUMP HA UN PIANO, O LE SUE PAROLE SONO BOLLE DI SAPONE?

di Paola Mora

Non ci sarà forse alcun miglioramento nei conflitti in corso, con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, o forse è semplicemente troppo presto per dirlo. Per ora, il politico americano sembra impegnato a irretire le masse con fiumi di propaganda.  Se il buongiorno si vede dal mattino, lo slogan degli accordi in Ucraina in 24/48 ore è decaduto in fretta, allungandosi a 100 giorni. Il nuovo presidente americano ha incaricato l’inviato speciale Keith Kellogg di risolvere la questione in Ucraina proprio in questo arco temporale mediando delle soluzioni. Scelta pessima probabilmente, dal momento che la figlia di Kellogg è coinvolta in progetti umanitari in Ucraina, e già Mosca ha rigettato indietro i primi timidi strali trumpiani, troppo sbilanciati a favore del regime di Kiev.  A tal proposito, l’ucraino Yermak – che è il mentore geniale del presidente Volodimir Zelenskyj – ha osservato sommessamente che in realtà, a quanto gli è dato di sapere, non esiste ancora alcun “piano di pace da 100 giorni” mentre, il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha ribattuto che “la guerra non si risolverà in cento giorni, se gli USA pensano davvero di negoziare sulla base della minaccia di sanzioni”, eventualità che Donald Trump ha annunciato di mettere in atto qualora il Presidente V.V. Putin rifiutasse di trattare alle condizioni statunitensi. Forse, Trump ha capito troppo tardi che sul campo, in Donbass, le cose sono cambiate; che la situazione non è più quella iniziale, durante cui i veloci accordi di Istanbul furono mandati per aria da Boris Johnson. Probabilmente, la sua propaganda delle 48 ore si basava su “roba vecchia”, così, dopo la vittoria elettorale, tira fuori dal cilindro MAGA soluzioni poco realistiche da sviluppare considerando l’evoluzione degli eventi. A esempio, era girata voce di uno scambio territoriale che avrebbe coinvolto il territorio russo di Kursk, oggi invaso dai nazisti ucraini, che hanno già compiuto lì, efferati crimini di guerra contro i civili. Kursk è stata nel 1943 il teatro di una battaglia storica memorabile in cui tante vite umane andarono perdute, e i russi non cederebbero questo loro territorio per alcuna ragione al mondo, né lo baratterebbero in un negoziato fosse anche solo per non disonorare i loro morti. Lo riconquisteranno da soli.  Quanto può durare, invece, il regno di Trump? Forse, il sogno dell’età dell’oro per l’America potrebbe sbriciolarsi in quei cento giorni: il tempo di un viaggio in Cina alla corte di Xi -Jinping con cui Donald ha manifestato intenzione di parlare per risolvere il conflitto russo-ucraino, trattare per non innescare una reciproca guerra economica. Il “Corriere della Sera”, ha già lanciato un titolo bomba: “La Cina, suo malgrado, può aiutare Trump a piegare Putin. La chiave è il petrolio”, senza tenere neanche conto di una dichiarazione fatta in un briefing dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, il quale ha già commentato l’affermazione affarognola di Trump secondo cui, “se i prezzi del petrolio scenderanno, allora il conflitto in Ucraina si fermerà”. Nulla di più ingenuo secondo Peskov, che avvisa subito:” No, questo conflitto non dipende dai prezzi del petrolio, ma è successo a causa di una minaccia per la sicurezza nazionale della Federazione russa e per i cittadini russofoni che vivono nei territori non riconosciuti, per via di un rifiuto da parte dell’Europa ed America, di ascoltare le nostre preoccupazioni”. Rifiuto, che sembra provenire anche dal nuovo presidente americano, il quale al momento si barcamena tra minacce di sanzioni e improbabili vie di soluzione, traballanti, dove il diritto alla sicurezza nazionale russa non viene menzionato a sufficienza. In compenso, Trump vuole incontrare prestissimo anche il leader russo, il quale è ben disposto a un confronto diplomatico paritario, ma molto meno disposto a fermare l’”Operazione militare speciale” con cui si sta assicurando la creazione di una zona cuscinetto diventata “vitale” per l’esistenza della Russia.  Infatti, è in corso un approccio agli armamenti.  Il nuovo capo della diplomazia europea Kaja Kallas e il nuovo capo dell’Alleanza Mark Rutte, ordinano di prepararsi alla guerra diretta con Mosca entro il 2028. Da parte sua, Putin è abbastanza intelligente da intuire che la minaccia alle sanzioni di Trump è un pacco vuoto, una freccia scagliata per aumentare l’audience, dal momento che lo strumento sanzionatorio già vige senza sortire particolari effetti distruttivi per la Russia, che regge ancora bene economicamente. Quindi aspetta di sapere, a porte chiuse o a negoziati aperti, quali sono le reali proposte di Donald Trump.   Capiamo bene, che il presidente americano può credere di avere in mano armi segrete, come a esempio verità scomode sul Covid, dal momento che in passato ha tentato di addossare tutte le responsabilità della diffusione alla Cina, e quindi ora, eletto per la seconda volta con a fianco tutti i riccastri della comunicazione social media, magari è convinto di poter far bere alle masse le proprie versioni dei fatti senza che neanche ci sia alla base un’indagine, prove reali della colpevolezza di Xi- Jinping e dei cinesi. Ma è certo, che il leader cinese non si chiama Zelenskyy, e che persino Zelenskyy è difficilmente addomesticabile da Donald Trump. Insomma, il presidente ucraino non ha capitolato subito, e ora, graffia gli specchi corteggiando Trump o inventando qualunque cosa per guadagnare anche lui un riconoscimento dai negoziati, forte della presenza dei militari ucraini nella regione di Kursk. Ma,  senza divagare troppo, è chiaro non sarà facile fermare il motore caldo della guerra, per quanto sia nell’interesse russo raggiungere un equilibrio definitivo. Al momento, le Forze armate russe non hanno tuttavia alcuna intenzione di fermarsi finché non raggiungono gli obiettivi dell’Operazione Speciale, e questo non è un vantaggio per Trump, che temporeggia. Nel frattempo, la corsa alle armi non si è fermata, anzi si è velocizzata. Donald Trump ha sostenuto che, se l’Europa non si metterà in regola con l’aumento della spesa militare per la difesa, gli USA non correranno in soccorso qualora scoppiasse una guerra diretta con la Russia. Più che la riuscita di un negoziato, si fa strada l’idea di una guerra che l’UE vuole a ogni costo, ma dove alla fine resterà schiacciata.  Il 26 gennaio 2025 appare a sorpresa il presunto “piano di pace trumpiano dei cento giorni”, che assomiglia in verità a un calco modificato della tregua tra Israele e Palestina. Non ne è stata nell’immediato confermata l’autenticità. Ed è esattamente in riferimento a questo documento dubbio, che il capo dell’ufficio presidenziale Andriy Yermak è intervenuto con amarezza: “Il piano di pace da 100 giorni che circola nei media non esiste nella realtà. Questi sono solo tentativi di disinformazione spesso legittimati dai russi”. Come se i russi, potessero pubblicare un tale scempio di piano, da cui non ricaverebbero un granché. Il contenuto, o è un’invenzione ucraina – sembra provenga da canali ucraini – o è un escamotage per un “sondaggio” – il fatto che sia trapelato qualcosa del genere, che difficilmente può essere preso in considerazione come veritiero. A ogni modo,  secondo il documento trapelato in rete proposto da alcuni canali Telegram e mass-media, il presidente Donald Trump prevede di tenere una conversazione telefonica con Putin tra fine gennaio e inizio febbraio, quando il piano di pace comincerà a essere discusso anche con le autorità ucraine. Dopodiché, sarà necessario trovare dei punti di partenza all’interno della bozza su cui la Russia potrebbe essere disposta a trattare. A primo impatto, il contenuto è un agglomerato di compromessi su cui, chi ha messo in giro il documento, sembra voler quasi indagare ufficiosamente le predisposizioni della Russia e dell’Ucraina, proprio perché forse non esistono certezze da parte statunitense sul come impostare il negoziato, o forse, gli USA non sono realmente ben disposti a una risoluzione definitiva, e non sanno come confessarlo. Oppure, è un modo di depistare i negoziati in cui gli ucraini stessi diffondono un documento loro favorevole spacciandolo per una possibile idea di Trump. Che il documento sia trapelato senza ufficialità, è sicuramente un sistema grezzo per sondare in anticipo le reazioni dei russi, ucraini, e non solo? O è uno scherzo dell’intelligence ucraina? Al momento, i russi tacciono e non si esprimono nel merito. Anche perché sarebbe sciocco, commentare su qualcosa che si sa esiste, ma non è un documento confermato ufficialmente. Il primo punto del piano di pace trapelato, è che Zelensky deve annullare il decreto da lui varato, dove proibisce per legge qualunque negoziato con Putin. Su questo, i russi sarebbero certamente d’accordo, ma non risolverebbe la posizione illegittima di Zelenskyy. Quel decreto coinvolge tutti i funzionari ucraini, non solamente il presidente ucraino; per questo, è fondamentale per Vladimir Putin venga abrogato, in modo da consentire le proprie trattative legittimamente con la parte ucraina. Il Presidente russo, tuttavia, ha anche sottolineato che considera “legale e autorevole” solo il presidente della Verkovna Rada (Parlamento ucraino), ma non Volodimir Zelenskyj che, essendo illegittimo e per quanto possa essere presente agli eventi diplomatici, non potrebbe firmare documenti validi. A questo problema, il presunto piano di Trump pone una soluzione apparente chiedendo di avviare le elezioni in Ucraina a una certa data, benché Zelenskyy sarà presente ai negoziati. Nel secondo punto del documento, viene proposto che tra febbraio e la prima metà di marzo 2025 si potrebbe tenere un incontro trilaterale tra Trump, Zelensky e Putin oppure due incontri bilaterali per porre le basi su cui lavorare all’accordo tra le parti, con l’ausilio successivamente di commissari speciali. In tutto questo arco di tempo, l’amministrazione statunitense prometterebbe a Zelenskyy di non bloccare l’invio di aiuti militari all’Ucraina, cosa favorevole a Kiev. Inoltre, nel periodo di Pasqua, è prevista l’eventualità di un segnale reciproco di volontà di pace attraverso un cessate il fuoco lungo tutta la linea del fronte, mentre contemporaneamente, le truppe ucraine dovrebbero in quel frangente essere ritirate dalla regione di Kursk. A fine aprile 2025 si terrà, secondo il documento, la Conferenza internazionale di pace per registrare un accordo tra Ucraina e Federazione Russa sulla fine della guerra, con la mediazione degli Stati Uniti, della Cina, di alcuni paesi europei e del “Sud del mondo”. Nel frattempo, è richiesto uno scambio di prigionieri nel formato “tutti per tutti”. Entro il 9 maggio, si prevede un’ulteriore dichiarazione della Conferenza internazionale di pace sulla fine della guerra in Ucraina, sulla base di parametri concordati. In seguito, all’Ucraina sarà offerto di non estendere il regime di legge marziale e la mobilitazione. Alla fine di agosto, secondo questo “piano di pace” si potranno tenere in Ucraina le elezioni presidenziali, alla fine di ottobre quelle parlamentari e locali. Qui, non è ben chiaro cosa dovrebbe accadere né chi firmerebbe il cartaceo dei negoziati, dal momento che si eleggerebbe un nuovo presidente; né è chiaro come si proseguirà, se entro questo termine i negoziati fossero ancora in alto mare, e intanto cambiati i referenti nelle trattative. Quali sono i punti proposti per aprire il negoziato? Il documento recita:

  1. L’Ucraina non sarà membro della NATO e dichiara neutralità. La decisione di vietare all’Ucraina di unirsi all’Alleanza deve essere approvata al vertice NATO.

 2. L’Ucraina diventerà membro dell’UE entro il 2030. L’UE si assume “obblighi per la ricostruzione postbellica del paese”.

 3. L’Ucraina non riduce le dimensioni del suo esercito. Gli Stati Uniti si impegnano a continuare a sostenere la modernizzazione delle Forze armate ucraine.

 4. L’Ucraina rifiuta i tentativi militari e diplomatici di restituire i territori. Ma non riconosce ufficialmente la sovranità della Federazione Russa su di essi. (La domanda è: Unione europea e Stati Uniti, riconosceranno la sovranità?).

 5. Alcune sanzioni contro la Federazione Russa saranno revocate immediatamente dopo la conclusione di un accordo di pace. Alcune – nel corso di tre anni, a seconda del rispetto da parte della Russia dei parametri dell’accordo. Saranno revocate tutte le restrizioni all’importazione di risorse energetiche russe nell’UE. Ma per un certo periodo di tempo, saranno soggette a un dazio speciale da parte degli europei, i cui proventi saranno utilizzati per ripristinare l’Ucraina. (Quindi è contraddetto il punto dove sarà l’UE a occuparsi del ripristino per l’annessione dell’Ucraina all’UE)

 6. Ai partiti che sostengono la lingua russa e la coesistenza pacifica con la Russia deve essere consentito di partecipare alle elezioni in Ucraina. Tutte le azioni contro la UOC e la lingua russa devono essere fermate a livello statale.

 7. Il punto sul contingente europeo di mantenimento della pace dopo la fine delle azioni militari è evidenziato come particolarmente problematico. Da un lato, Kiev lo richiede come garanzia di sicurezza. Dall’altro, la Federazione Russa è categoricamente contraria. Su questo punto dovrebbero essere tenute consultazioni separate tra tutte le parti.

 In questo accordo, mancano sostanzialmente le garanzie per la Russia, dal momento che nessuno all’interno del documento riconosce la sovranità russa sui territori del Donbass annessi col referendum. Neanche è chiaro perché, se l’Ucraina non entra nella NATO ma entra nell’UE, gli USA devono continuare a occuparsi di armarla e di formare i militari ucraini, che è in effetti la stessa cosa perseguita durante gli accordi di Minsk, che ha provocato le tensioni al confine. Questo piano non solo non include un riconoscimento da parte del regime di Kiev e dell’Ucraina della sovranità russa sui territori annessi, ma non menziona neanche se ci sarà un riconoscimento europeo o statunitense. L’Ucraina viene solo inglobata nell’UE ( che allo stesso tempo non abbandona l’idea di una guerra contro la Russia) venendo anche armata (con quale tipologia di armi?) benché apparentemente neutrale, dagli USA (che garantirebbero alla Russia una sorta di sicurezza attraverso un divieto per l’Ucraina di ingresso nella NATO). Ma è utile sottolineare che l’Ucraina oggi non è nella NATO, è armata dalla NATO, non riconosce i territori del Donbass russi annessi, e, in questa situazione, ha mosso tensioni al confine incoraggiata proprio dall’Europa dietro direttive di Washington. Tra l’altro, come parte dell’UE, l’Ucraina dovrebbe essere difesa qualora ci fossero provocazioni al confine (provocazioni che Kiev potrebbe fare, in virtù del fatto che continua a essere armata e sostenuta dai servizi segreti occidentale). Alcuni esperti, già osservano che questo piano, semmai fosse vero – ma non lo è – potrebbe condurre a un momento di tregua temporaneo ma assolutamente non risolutivo. Con una ripresa della guerra al primo cedimento o provocazione.

Donald Trump ha innescato un maremoto globale e confusionario, basato su una retorica rivolta ai cittadini di tutto il mondo per imporre il proprio “Io” sfrontato, non certo alle grandi potenze con cui si tratta a tavolino – anziché con i post su Truth o su X che, possono essere commentati e derisi, possono allarmare gli sprovveduti europei, ma non suscitano l’interesse reale di politici di spessore come Xi Jinping, Vladimir Putin, e altri sulla scena geopolitica. Anche le rivendicazioni geografiche di Trump e del socio intergalattico Elon Musk sono state valutate come tentativi spocchiosi dei due attori politici, da tenere ben monitorati solo perché fanno parte di vecchie rivendicazioni degli Stati Uniti, beghe nate ancor prima che Trump sedesse alla sua prima presidenza. Importante è la domanda: come si pone il presidente Trump nei confronti dei Paesi baltici sul piede di guerra? Perché in realtà, l’Ucraina è per Washington solo una delle leve per muovere guerra ai russi, dal momento che hanno dislocato attori contro Mosca lungo tutto il confine e nelle prossimità del territorio della Federazione. Quindi, Donald Trump, non dovrebbe forse prendersi gioco dell’opinione pubblica lasciando credere che la pace arriva con un accordo traballante sull’Ucraina. Se Washington e il nuovo presidente vogliono davvero la pace, e non un’altra guerra continentale o mondiale, devono abbandonare il loro sogno di gloria imperialista su più fronti, senza fingere che il conflitto in Donbass è fine a se stesso, scoppiato per inimicizia tra due popoli fratelli. Invece, le armi continuano a armare.  Ad aprile del 2018 – la prima presidenza di Trump – i capi di Stato di Estonia, Lettonia e Lituania si recarono da lui in visita a Washington, in chiave antirussa, per chiedergli assicurazioni, garanzie, protezione. E lui, rispose.” Avremo altri cento anni di una relazione lunga e solida, oggi si celebra anche il centenario della vostra indipendenza”. I leader nordici e baltici sono quelli che hanno concordato di aumentare gli aiuti all’Ucraina prima dell’avvento di Trump 2.0. Nel frattempo, è stato messo in piedi il formato NB8 per la cooperazione in materia di politica estera e di sicurezza. Esso comprende, oltre alla triade baltica, anche Danimarca, Finlandia Islanda, Norvegia, Svezia. Al momento, i Paesi baltici sono stati concordi con Trump su un punto: aumento della spesa militare per la difesa. E Trump ha minacciato di difendere solo chi aumenta questa spesa, lasciando indietro chi non lo fa. A questo proposito, è bene rispolverare che il nuovo commissario alla Difesa in Europa si chiama Andrius Kubilius , ed è lui ad aver osservato che “Trump non c’entra. La necessità dell’Europa di rafforzare la difesa dipende interamente da Vladimir Putin. I russi possono produrre in sei mesi ciò che la Germania ha nelle sue scorte e deve essere un avvertimento per tutti noi. Dobbiamo spendere di più, almeno 10 miliardi entro il 2028”. Kubilius – ex primo ministro della Lituania – ha inoltre recentemente rassicurato che non ci saranno problemi con il nuovo Segretario Generale della NATO Mark Rutte, nessuna competizione: “L’UE può essere di aiuto nello sviluppo delle risorse e raccogliere denaro, ciò che la NATO non può fare. Dobbiamo prendere i piani di difesa della NATO e vedere cosa significano in termini pratici”. E la risposta non ha tardato ad arrivare. Il 27 gennaio 2025 la leadership della NATO ha preso iniziativa di trasferire informazioni top secret sulla produzione militare all’Unione Europea, che riguarderanno ciò che i membri dell’alleanza dovranno produrre. Mark Rutte ha avviato la declassificazione dei documenti, e questo gesto tiene fede ai rapporti tra lui e il Commissario della Difesa europeo.

Restando sul tema, il Nord Stream 2 ci ricorderà ancora qualcosa di diverso, dal momento che veniva vissuto nel 2019 – data di consegna del gasdotto finito – come una minaccia strategica per Kiev dove, proprio nel 2019 scadeva l’accordo per il passaggio del gas russo. In quel periodo, Trump faceva leva sui Paesi baltici per trovare con essi una maniera per scongiurare la piaga tedesca, una Germania troppo vicina a Mosca. Trump, il gasdotto non lo voleva e minacciava ritorsioni. Già nel luglio del 2018 aveva fatto una sfuriata davanti ai funzionari tedeschi che si erano recati al vertice NATO di Bruxelles, coinvolgendo l’allora Segretario Generale Stoltenberg nella questione del gasdotto russo. “Dobbiamo parlare dei miliardi e miliardi di dollari che vengono versati al paese da cui noi dovremmo proteggervi”, esclamò Trump rivolgendosi ai tedeschi. I funzionari del Dipartimento di Stato americano criticavano apertamente il Nord Stream durante la prima amministrazione Trump, invitando gli Stati membri a opporsi, e incoraggiando la Danimarca e la Svezia a adottare misure di opposizione. Inoltre, fu Trump a proporre maggiore sostegno ad altri progetti come il Southern Gas Corridor o il Baltic Pipe Line (inaugurato in Polonia subito dopo l’esplosione del Nord Stream).

Il 2 agosto del 2019 Berlino annunciò a Donald Trump di non voler partecipare a una missione navale nello Stretto di Hormoz contro la minaccia dell’Iran e, in concomitanza, gli USA avallarono le sanzioni contro la condotta gasiera russa. Nel mentre della propaganda per la sua rielezione del 2024, Donald Trump si è vantato in un’intervista rilasciata al giornalista Tucker Carlson, del fatto che era merito suo se il progetto del Nord Stream si era bloccato, riferendosi a quando ancora non era terminata la posa dei tubi e a un disegno di legge da lui promosso. “L’ho fermato, era costruito a metà”. Ma sappiamo anche che nel maggio 2021 Joe Biden ebbe un colloquio telematico con il Presidente Vladimir Putin, in seguito al quale il Congresso degli Stati Uniti abrogò sorprendentemente parte delle sanzioni imposte da Trump contro il Nord Stream 2. In questa circostanza, Joe Biden aizzò l’ira dei repubblicani e del governo ucraino. Nel dialogo con Joe Biden, Putin aveva ricordato quali fossero le linee rosse della Russia: un’ulteriore avanzata della NATO verso Est, e il dispiegamento delle armi dell’Alleanza in Ucraina. Joe Biden rispose da parte sua che, in caso di escalation in Ucraina, gli USA avrebbero rafforzato lo schieramento orientale della NATO e risposto positivamente alle richieste di assistenza degli Stati baltici. All’epoca, Anthony Blinken difese Joe Biden, spiegando che l’allentamento delle sanzioni serviva esclusivamente per riallacciare il rapporto statunitense con Berlino, e che l’opposizione al progetto Nord Stream sarebbe continuata. Successivamente, anche la nota “mente  destabilizzatrice” Victoria Nuland spiegò che, se non avessero allentato le sanzioni e stretto un rapporto con Berlino, non avrebbe potuto, l’amministrazione Biden, muoversi più severamente contro la Russia; cercò di far credere che la Russia si sarebbe mossa contro Kiev a prescindere dal Nord Stream perché obiettivo di Putin, secondo la sua versione, era ricostruire il vecchio impero russo. Insomma, Joe Biden è stato accusato di aver incentivato un peggioramento nel conflitto ucraino, per la decisione di aver buttato via le sanzioni su Nord Stream 2 e permesso la finitura del progetto. La tesi sostenuta anche dal regime di Kiev, era che Putin volesse “conquistare l’Ucraina” ma, secondo loro, esitava a muoversi solo perché attraverso il territorio ucraino avveniva anche il transito del gas da cui la Russia guadagnava vendendolo all’Occidente, e pagando il transito; e quindi, la necessità era di ultimare il Nord Stream 2 come “alternativa che servisse il gas all’Europa attraverso la Germania”. La tesi è ovviamente fantasiosa, considerando che la diversificazione di Putin nasce non dalla volontà di muovere guerre, ma proprio dalla necessità di preservare la sovranità e l’economia della Federazione a causa dell’accerchiamento progressivo della NATO. Recentemente, Putin ha dato ragione a Donald Trump sul fatto che, con molta probabilità, la guerra in Ucraina non ci sarebbe stata se fosse stato Trump il presidente al posto di Joe Biden. Nel senso che, plausibilmente, il progetto del Nord Stream da Trump ostacolato, è uno dei motivi per cui l’America ha spinto Kiev all’escalation. Eppure, Joe Biden aveva al suo fianco prima del sabotaggio al Nord Stream, il falco israeliano Amos Hochstein, (in seguito, spostato a inviato americano in Libano) che dal 2011 – durante la presidenza Obama – si era occupato dell’Ufficio risorse energetiche del dipartimento di Stato diventando il consulente di Joe  durante la vicepresidenza. Si occupò, neanche a farlo apposta, del dossier ucraino Naftogas, ma non solo. Come documentato da Inside Over, egli spiegò al duo Biden-Obama che

“l’Ucraina non può essere emancipata energeticamente dalla Russia senza lavorare simultaneamente ad un distaccamento dell’Unione Europea dalla stessa. Per cui serviva un attacco frontale a tutti quei progetti di trasporto del gas naturale con cui il Cremlino avrebbe voluto aggirare l’Ucraina per preservarsi e poter proseguire i rifornimenti in UE. Da qui le pressioni al South Stream, poi effettivamente annullato”.

A riproporre l’ingaggio dell’israeliano Hochstein nel 2021 fu Jake Sullivan – consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden – che gli affidò i negoziati per ripristinare il rapporto con la Germania, al fine di congelare il gasdotto Nord Stream. Hochstein fu assunto in questo ruolo a margine dell’annullamento delle sanzioni dell’allora presidente Joe Biden. Il risultato? Le sanzioni al gasdotto sono state riproposte da Biden nel febbraio 2022: “…saremo in grado di fermarlo” aveva dichiarato, chiamando in causa la Germania come perfettamente allineata agli USA in questo proposito di un “robusto piano di sanzioni”. Un Olaf Scholz balbettante non battè ciglio, e si dichiarò favorevole senza menzionare il gasdotto. Da un’inchiesta di Seymour Hersh sull’esplosione del Nord Stream avvenuta nel settembre 2022, è emerso che Joe Biden approvò e diede il suo consenso al sabotaggio assieme a Jack Sullivan, William Burns e Victoria Nuland, quando questa opzione gli fu presentata come progetto dai “pianificatori”, classificandola come operazione di intelligence col “sostegno dell’esercito” evitando che passasse dal Congresso. Ma non è mai stato chiarito da dove venisse il progetto, se, a esempio, fosse già stipato da tempo in un cassetto mai aperto, rivalutato durante la presidenza dell’acciaccato Joe Biden. In fondo, il Nord Stream dava noia da tempo all’agenda statunitense, e già Trump nella prima presidenza lavorava alle sanzioni per bloccarlo. Secondo Hersh, emissari americani volarono in Norvegia per parlare del sabotaggio ai servizi segreti, capire in quale punto del Mar Baltico piazzare l’esplosivo sulla linea percorsa dal gasdotto. La missione, secondo questa versione dei fatti, sarebbe stata portata a termine dai sommozzatori della Marina di Panama City, (Diving and Savage Center) Florida. Il gasdotto è esploso. Per cui, il problema è stato risolto così. Ora, torniamo alla domanda principale. Ammesso che Donald Trump voglia portare la pace in Ucraina e nel mondo, quale sarà il suo approccio nei confronti dell’Asse del Baltico che si prepara a una guerra con la Russia, e vorrebbe trascinarci dentro tutta l’Europa? Al momento, il nuovo Capo della diplomazia europea, l’estone Kaja Kallas, si è dimostrata propositiva nei confronti della nuova amministrazione americana. Buon viso a cattivo gioco, ha preso di petto la pretesa trumpiana di un aumento delle spese per la difesa in Europa, incitando tutti a seguire questo consiglio per” prevenire” e al medesimo tempo “preparare” una guerra contro la Russia. Secondo Kaja, e secondo chi come lei tra gli alleati protende per lo scontro armato, la vittoria di Putin in Ucraina spingerà la Russia a nuova fame, e a volgersi contro i paesi baltici. Lituania, Lettonia, Estonia sognano da tempo di potersi letteralmente “schiantare” contro la Russia. Motivo per cui, hanno sempre cercato appoggio dall’amministrazione statunitense. In questi giorni, gli americani hanno aumentato la loro presenza nel mar Baltico con la giustificazione di prevenire attacchi ai cavi sottomarini, sistematicamente in default per guasti o sospetti sabotaggi – ma, in realtà, per bloccare più probabilmente il passaggio delle petroliere della flotta ombra russa e imporre una strategia della tensione in quelle aree.  Un’indagine ha ritenuto che non vi sia traccia della mano dei russi in questi sabotaggi. Lituania ed Estonia hanno nel frattempo acconsentito alla richiesta di Trump di spendere il 5% del Pil per la difesa. E alle pretese sulla Groenlandia, Kallas ha ritenuto di non doverle prendere troppo sul serio proponendo delle soluzioni poi seguite alla lettera, tra cui l’aumento della spesa militare della Danimarca con un investimento di 2 miliardi di euro.  Allo stesso tempo, il trio baltico vede i negoziati con l’Ucraina che Trump sta preparando per il prossimo futuro, come una minaccia personale. La pace trumpiana è una verità? O è una bolla di sapone?

28 gennaio 2025 – PAOLA MORA – Qui Radio Londra Tv

 

PAUSA CAFFE’

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