
TRIS D’ASSI PER XI JINPING. “IL PROTEZIONISMO DI TRUMP NON HA FUTURO”, AVVISA.
di Paola Mora
In queste ore il leader cinese Xi Jinping è nel Sud-Est asiatico “per fregare gli USA”, come ha scimmiottato il presidente americano Donald Trump, e in visita strategica al primo trio di Paesi con cui creare alternative alle tariffe ‘Made in USA’: si tratta di Vietnam, Malesia e Cambogia.
Nel frattempo, Trump, dopo aver piazzato e poi immediatamente ritirato una parte di dazi sulle tecnologie come smartphone, computer, chip, e altri prodotti elettronici, sta valutando azioni aggressive in materia di semi-conduttori e probabilmente annuncerà le aliquote nella prossima settimana. Inoltre, minaccia i vassalli europei di non stringere accordi con il dragone asiatico se prima non è lui a ordinarlo, chiarendo che l’Europa deve muoversi in massa per quanto riguarda le decisioni sui dazi, e non uno Stato alla volta. Condizione ripetuta a pappagallo anche da ministri italiani come Anthony Tajani, il quale ha fatto capire che l’Italia non può decidere da sola, ma può solo uniformarsi alla decisione finale di Bruxelles. Il politico Matteo Renzi aveva consigliato Mario Draghi come referente e mediatore tra Donald Trump e l’UE, ma questo invito non ha ancora preso piede tra i banchi di scuola dei volenterosi europarlamentari. Il messaggio di Trump che pretende unità decisionale per non dover perdere tempo a parlare singolarmente con i leader degli Stati membro dell’UE, è stato felicemente recepito da Ursula Von Der Leyen che, ha assunto Giorgia Meloni come mediatrice, per trattare i dazi con Washington. Al momento la proposta europea di ‘zero dazi in cambio di zero dazi’ è stata rispedita indietro poiché Trump vuole accordi energetici e industriali per decidersi ad allentare la morsa delle tariffe.
Xi Jinping affiancato dal segretario del Partito comunista vietnamita To Lam, ha evocato in Vietnam “la stabilità del sistema globale di libero scambio” e ha invitato Hanoi a “resistere alle prepotenze unilaterali”. Non è affatto piaciuto al leader cinese l’atteggiamento di sufficienza e spocchioso dell’amministrazione repubblicana statunitense, gli insulti al popolo cinese, di grande maleducazione, mentre Donald Trump agitava pubblicamente una carota sostenendo che lui e Xi sono grandi amici, e credendo che il somaro la mangiasse. Ma Xi Jinping non è un asino europeo né uno svendi-patria. “Non biasimo la Cina. Né il Vietnam. Ma sì, stanno cercando di fregare gli Stati Uniti. Meraviglioso”, ha detto Trump dopo un primo mutismo alla presa di coscienza del tour cinese in giro per il mondo che oggi conta di più.
Il primo bicchiere di spumante, Xi lo degusta proprio in Vietnam dove firma la bellezza di 45 accordi su AI, pattugliamenti marittimi congiunti, sicurezza delle catene di approvvigionamento, sviluppo infrastrutturale, e su un progetto ferroviario da 8 miliardi di dollari che collegherà Haiphong al confine cinese. Dopo il Vietnam, il molosso cinese si è diretto in Malaysia, in visita al premier Anwar Ibrahim. E la tappa finale sarà la Cambogia. La maniera di Xi con cui egli ha deciso di gestire la guerra dei dazi lanciata dal leader statunitense, ricorda specularmente quella del leader russo Vladimir Putin quando, all’alba dell’Operazione Militare Speciale e mentre i suoi soldati mettevano a segno le prime avanzate, si recò senza fare troppo rumore a stringere mani e mani di leader di Paesi amici per rafforzare partenariati e progetti industriali, economici, i Brics; partecipare ad eventi per la pacificazione di aree chiave per i gasdotti, e, nel caso della Corea del Nord, più recente, anche di tipo militar-difensivo; affidandosi ai suoi specialisti per lavorare sulle finanze ed aggiusti economici dal momento che, a differenza di quanto le fake news occidentali raccontano, i russi avevano già previsto che non si sarebbe trattato di un temporale passeggero. Il motivo per cui il presidente russo esaudì questi viaggi, era proteggere la patria da una guerra di logoramento che era molto probabile accadesse, essendo coinvolte la NATO e la Gran Bretagna, armatrici incallite del regime di Kiev. Si trattava di un Paese, l’Ucraina, che fintanto fosse stata da sola o aiutata da piccoli alleati, si sarebbe arresa in un paio di settimane, ma, poiché poteva avvalersi dell’intelligence occidentale e continui carichi di armi fornite all’esercito nazista – con la manina tirata, per il motivo che Washington e Londra non andavano di fretta, avendo pianificato di lasciar che i russi la distruggessero nel più lungo tempo possibile – ha retto al tragico prezzo di notevoli perdite umane, territori svenduti in cambio di denaro, e con l’area del Donbass liberata, saldamente in mano ai russi. L’Occidente sperava in un crollo economico e isolamento della Russia che non è avvenuto, hanno sbagliato i calcoli. Ora, Trump ha cambiato strategia muovendosi attraverso una guerra commerciale ma con la medesima finalità di isolare, stavolta, Pechino. I dazi servono al presidente americano per diminuire i flussi di merce che riguardano la Cina, inponendoli anche a tutti i Paesi strategici, perfino agli alleati occidentali, per costringerli ad inchinarsi a lui. Poi ha sospeso nel giro di poco tempo dalla loro introduzione questi dazi nei confronti degli alleati, regalando un ultimatum di 90 giorni prima di reintrodurli. In questo modo, Trump si è garantito che i leader dei territori presi di mira, organizzassero le proprie azioni e proposte di scambio con gli USA senza avere il tempo di guardare in faccia alla Cina che, a differenza degli altri, non è stata sgravata dalle tariffe. È vero che non è cominciata una guerra a Taiwan, ma Trump ha attizzato le fiamme di un suicidio economico che stritolerà i più deboli. Tenta di dividere la Russia dalla Cina, e l’Europa dalla Cina, per trascinare entrambe in blocco dalla propria parte. Con l’Ue è più semplice, ma non è detto che tutti faranno il gioco di Trump all’infinito, dati gli atteggiamenti, i rischi, la poca convenienza di dover essere disposti a perdere altre fette di sovranità. In effetti, i leader europei non sono in grado di valorizzare il proprio territorio approfittando dei dazi, ma di svendersi, di questo sì, sono capaci. Donald Trump approfitta del fatto che la Russia, ha bisogno della mediazione americana per risolvere il conflitto in Ucraina; tuttavia, sia Vladimir Putin che Sergey Lavrov hanno a esempio ripetuto, nelle ultime ore che, anche se il conflitto non si risolvesse come sperato, loro saranno in grado ugualmente di difendere la Russia con le proprie forze, per cui, se non ci saranno le condizioni favorevoli o proposte serie per garanzie durature, andranno avanti. Prenderanno probabilmente anche Odessa, ma devono sbrigarsi. Trump non è l’ultima àncora di salvezza per Mosca, benché incarni il lato finora più diplomatico di Washington: occasione da non lasciarsi sfuggire poiché consente di dipanare una parte delle problematiche di base del conflitto. In qualche punto i due Paesi si stanno aprendo l’uno all’altro; diversamente no: gli americani non hanno ancora presentato un piano d’azione ai russi, come ripetono e lamentano diversi funzionari del Cremlino. La Russia si aspetta di più e può pretendere di più, perché ha un vantaggio sul campo.
Per quanto riguarda la Cina, Xi Jinping fa…quello che fece Putin nel 2022. Ha incominciato le visite di persona nei Paesi di interesse, ottimizzando il tempo, per rafforzare i flussi dei corridoi energetici, infrastrutturali, ferroviari, creare uno scudo solido al possibile indebolimento dell’economia cinese interna – che soffre soprattutto dal punto di vista immobiliare. Le tariffe hanno sicuramente un certo impatto appena emesse, ma è importante capire cosa accade nel lungo termine, dopo che la Cina avrà iniziato a diversificare. La guerra a Taiwan è alle porte, non è scoppiata la scintilla, differentemente da come accadde per l’Ucraina. L’esercito di Xi Jinping è per il momento, il popolo di lavoratori cinesi che hanno capito al volo la situazione, si stanno già compattando per resistere alle scosse in corso, muovendosi favorevolmente alla politica di Xi: utilizzando l’AI e le piattaforme social per aprirsi al popolo d’occidente in maniera amichevole, spingendo i popoli europei e americani a volgersi commercialmente a Pechino. I cinesi, presi a male parole dagli americani che li hanno chiamati spregiativamente come contadini, o anche “terroni” per intenderci, scherzano pubblicamente sul potenziale industriale che gli americani non possiedono (né potrebbero procurarsi in tempo breve). La Russia, quando fu sottoposta a sanzioni dall’amministrazione Biden e dell’Ue riuscì a sostituire in gran parte, e in breve tempo, le aziende americane ed europee che furono costrette ad abbandonare gli affari coi russi. Ce la farà l’America?
Il New York Times, citando alcune fonti, ha riferito che Donald Trump sta valutando un possibile blocco della rete neurale cinese DeepSeek e la limitazione del supporto alla Cina da parte del produttore di chip Nvidia. Si tratterebbe di multe che impediranno a DeepSeek di acquistare tecnologie americane. L’amministrazione statunitense esaminerà anche se la società cinese abbia eluso le restrizioni esistenti per l’acquisto di chip. Il 16 aprile, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha elencato nuovi requisiti di licenza per l’H20 di Nvidia, l’MI308 di AMD e i loro chip di intelligenza artificiale per l’esportazione in Cina. Nvidia prevede di perdere più di 5 miliardi di dollari a causa delle restrizioni, e ha annunciato l’intenzione di costruire fabbriche negli Stati Uniti per produrre supercomputer. La dirigenza dell’azienda stima che nei prossimi 4 anni negli Stati Uniti verranno prodotti prodotti tecnologici basati sull’intelligenza artificiale per un valore di 500 miliardi di dollari. Secondo i funzionari di Trump il popolo cinese ha paura. Ma è falso. Non si rendono conto, i politici americani, che il popolo cinese non è “sfruttato”, ma un popolo di lavoratori per cultura, che patriotticamente cerca di sentirsi utile al Paese e in alcuni casi perché no, c’è chi approfitta anche per qualche speculazione. La pubblicità cinese sulle piattaforme social, su ciò che queste formiche laboriose sono capaci di produrre a basso prezzo, è spietatissima. Trump non è stupido. Ha capito che, se Putin si è salvato, è perché è corso a stringere e firmare accordi vantaggiosi con paesi terzi, tra cui anche la Turchia. Alla luce di ciò, sta chiedendo all’Europa di non lasciarsi sedurre dalla Cina. Se l’Europa lo facesse, sarebbe come ripristinare i rapporti anche con la Russia e, di conseguenza, il piano di portare acqua al mulino statunitense fallirebbe in tronco. Donald tenta di essere appetibile e di anticipare le mosse della Cina. Approfittando del fatto che i leader dei paesi devono andare a rivolgersi a lui per risolvere l’enigma dei dazi, gli propone degli investimenti “ottimi”, secondo la propria visione, di cui accordi energetici obbligatori, o scambi industriali che consistono nell’allocare industrie in America. In questo modo, i leader che vanno a inginocchiarsi per vedersi annullati i dazi, non dovrebbero poter rivolgersi prioritariamente alla Cina. Il dazio è in questo caso come una tangente. Devi andare a incontrarti con l’estorsore per convincerlo a non spennarti e offrendo qualcos’altro in cambio. Ma lo è, un’estorsione, solamente per chi non sa gestire quest’occasione di rinascita. Quasi tutti gli analisti chiamano la manovra di Trump” protezionismo”, o anche tentativo di “isolazionismo della Cina”. Il vantaggio della Cina rispetto all’America è sul tempo e sulle risorse, quali a esempio le Terre rare che servono per le tecnologie, per la produzione bellica, semiconduttori, la capacità di raffinazione. Ed ecco perché Donald Trump insiste che la Groenlandia è fondamentale per la sopravvivenza dell’America. Vorrebbe annetterla ma, in mancanza di questo, si accontenterebbe solo di accordi molto vantaggiosi per rafforzare le capacità americane. Gli USA non dispongono di abbastanza materie prime per portare avanti una guerra commerciale e militare con la Cina. In America non esiste nemmeno stabilità governativa, nel senso che, mentre Cina e Russia hanno trovato un proprio equilibrio di governo in un periodo turbolento, in Occidente esso manca, ed esistono troppe contraddizioni all’interno delle leadership. Trump preferirebbe non sprecare risorse militari per attaccare la Groenlandia, vuole ipnotizzare la popolazione del luogo e agganciare le persone che contano. Allo stesso tempo ne chiede l’annessione, cioè lo sforzo maggiore che gli può chiedere, ma mette anche in condizioni la Groenlandia di poter fare degli accordi con lui che tamponino i buchi siderali di quelle risorse minerarie rare che sono assenti in America e che, attraverso il dazio con cui Trump isola la Cina, gli vengono ancor più a mancare.
La Cina opera di ritorsione contro gli USA. Anziché affrettarsi a chiedere di togliere i dazi, ne emette a sua volta pretendendo rispetto e serietà. La Cina non intende mollare la presa, anche se Xi ha affermato di essere disposto agli accordi solo se Trump allenta la strategia della tensione. Altrimenti, gli accordi non sarebbero mai vantaggiosi per nessuno. “In una guerra commerciale non vince nessuno”, le parole di Xi Jinping.
17 aprile 2025 – PAOLA MORA – Qui Radio Londra Tv